6. Studiare il nemico

4.6K 115 8
                                    

"Perché non esulto dopo un gol? Non lo faccio perché sto solamente svolgendo il mio lavoro. Per caso un postino festeggia quando consegna una lettera?„

Mario Balotelli

Velia

Andare a Vinovo dopo una stancante mattinata all'università "solo" per vedere Dybala? Ecco l'idea stupida che quel giorno aveva attraversato il mio cervello ed a cui io - ovviamente - avevo dato retta senza esitazione.

Dopo un lunghissimo tragitto in treno, un tranquillo viaggetto in taxi e qualche passo per raggiungere le tribune, potei vedere i ragazzi che, su uno dei tanti campetti di Vinovo, saltellavano avanti e indietro in uno skip basso decisamente lento. Max urlava loro di muoversi ma non sembrava ottenere grandi risultati.

«Ciao! Possiamo farci una foto?» chiese una ragazzina, avvicinandosi a me.
«È quella che nuota con il nome strano?» domandò la sua amica.
«Velia, si chiama Velia.» la rimproverò, sorridendo, la prima. «Scusala, è un'ignorante. In realtà fino a due mesi fa eri "quella che ha fatto la pubblicità delle mutande con Belén", quindi facciamo progressi.»

«Allora non è stata una buona idea girare quello spot.» ridacchiai.
«Ma tu non sei Interista?» mi chiese, estraendo il cellulare da una tasca.
«Si chiama "studiare il nemico".» sorrisi.
«Ci fai anche un autografo, per favore?»
«Anche due.» le risposi, prendendo un pennarello indelebile nero dal mio fidato astuccio.
«Grazie!» urlarono, in coro.

Alcuni calciatori alzarono la testa verso di noi. Mattia mi indicò e Federico sorrise, salutandomi, mentre Allegri organizzava la partitella di fine allenamento, il momento più atteso da tutti.

Poco dopo il fischio d'inizio, Paulo segnò un bel gol di sinistro su assist di Federico e saltò sulle spalle di quest'ultimo, che lo prese solo per miracolo.
«Mi fai cadere!» urlò il Carrarese.
«Dybala, due giri di campo!»
«Ma Mister...»
«Tre!»
Paulo scese, sbuffando.
«Quattro!»

Federico gli diede uno scappellotto sulla nuca e lui sollevò il terzo dito con nonchalance, evitando di farsi vedere dall'allenatore.
«Mister!»
«Bernardeschi, vuoi correre anche tu?»
Paulo tramutò la sua espressione da sconcertata a strafottente. Sorrideva, correndo, sicuro che Federico non avrebbe fatto la spia.

«Siamo in inferiorità numerica!» esclamò il trentatré.
«È una partitella, non essere sciocco.»
«Lei giocava. Può venire?» chiese, indicandomi.
Lo fulminai con lo sguardo.
«Velia non gioca.» stabilì il Mister.
«Per favore.»
Mi squadrò, con quel sorrisetto tipico di chi si ricordava fin troppo bene di me.
«Vabbè, vieni.»

Maledissi Federico in un milione di lingue ed entrai in campo. Tolsi la felpa e rimasi con un top sportivo nero. Appoggiai i vestiti in un angolo e legai i capelli in una coda alta.

«Io e te dopo facciamo i conti.» misi le cose in chiaro con il Toscano. «E no, non metterò una delle vostre magliette verde vomito.» lo interruppi prima ancora che iniziasse a parlare.

Paulo

Il mio sguardo bruciava su di lei, soprattutto ora che avevo finito di correre. Daniele fece cadere Federico, che si lamentò nonostante non si fosse fatto nulla. La barriera iniziò a disporsi, mentre lei aiutava il trentatré a rialzarsi.

«Batto io.» disse Velia.
«Ma ha fatto fallo su di me.» protestò il mio compagno di squadra.
«E tu mi hai costretta a giocare.»
«Berna, falla tirare, tanto non segneresti mai da lì. Sei troppo scarso!» urlai.
Federico borbottò qualcosa, Velia pulì la palla nella maglia del Carrarese e la sistemò per terra.

Tre passi indietro.

La palla venne colpita con forza, entrando in rete appena sotto all'angolino in alto a destra.

«Vai tu a finire la partitella, per favore?» mi chiese.
Le sfiorai una mano.
«Stai bene?»
La smorfia sul suo viso fu abbastanza per farmi capire che forse no, non stava così bene.
«Resto qui.» mi imposi.
«Paulo. Vai a giocare. Ti aspetto fuori.»

Finimmo gli allenamenti e, dopo la doccia, fui il primo ad uscire dagli spogliatoi, ignorando i commenti maliziosi dei miei compagni di avventure.

Aveva da poco iniziato a piovere, come ad ogni nostro incontro. Velia mi aspettava seduta per terra, la schiena appoggiata al muro, la gamba sinistra tirata al petto e quella destra stesa davanti a sé, per metà bagnata dall'acqua piovana.

«Avresti potuto aspettarmi anche appena dentro, senza che ti bagnassi per forza.» le dissi, aiutandola ad alzarsi.
«Non ti preoccupare per quel pezzo di gamba.» mi rispose, mentre scrollava le spalle.
«Dai, andiamo.»

La presi per mano ed iniziai a correre.

«No!» gridò.
I suoi occhi furono attraversati da un lampo di terrore, probabilmente dovuto al fatto che sapeva che l'avrei indotta a parlare.
«Io...» iniziò.
«Tu?» chiesi.
«Andiamo in un posto che non sia in mezzo ad un parcheggio, per favore. Senza correre.»
«Velia...» sussurrai. «C'è mezza Juventus che aspetta che io ti baci.» cambiai argomento, per stemperare la tensione, sciogliendole la lunga treccia bionda.

Storse il naso, poi sorrise.
Quant'era bella...

«Paulo! Ridammi l'elastico!» si lagnò.
«Mi dispiace, no.» mi opposi.
Frugò nell'astuccio ed estrasse una matita.
«Questa non ti serve, sei troppo ignorante.»
«Guarda che so scrivere.» la ammonii.
«Mi stupisci, Dybala, pensavo firmassi con una croce come gli analfabeti.»

Da Milano col palloneDove le storie prendono vita. Scoprilo ora