87. Noi noi

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"Mi fermavo ad un passo dal traguardo
È lei che mi ha insegnato ad esser forte
E a non mostrare troppe debolezze
Esco a bere questa sera rischio
Poi chiamami e chiedimi se resto
Vorrei solo capire perché però
Sei l'unica forza che ho
E vedi poi quanto costa parlarne?
Dirti che ti voglio veramente
Che non ho visto mai occhi più grandi
Blu come il cielo che avevo davanti„

Ultimo

Velia

«Stai male.» il viso di Paulo si contorse in una smorfia preoccupata. «Stai male?»
«È una lunga storia. Ho la nau...» iniziai a correre a perdifiato verso la strada che si intravedeva tra gli alberi: doveva per forza esserci un tombino da qualche parte.
«Tu sei pazza!» urlò Paulo, gettandosi all'inseguimento.

Ignorai il suo commento, aprire bocca avrebbe causato solo danni, e mi inginocchiai sul marciapiede, vomitando anche l'anima nel primo tombino che incontrai. Fui abbastanza fortunata da centrare i buchi tra le grate, senza schizzarmi l'abito, che aveva perso il bianco originale quando era entrato in contatto con l'asfalto.

«Amor.» sussurrò Paulo, accarezzandomi la schiena.
«Te quiero.» mi appoggiai a lui. Ero sfinita dalla corsa, dalla nausea, dalla gravidanza, dai miei genitori, dall'ammasso di emozioni degli ultimi giorni, dagli ormoni sballati. E, soprattutto, mi sentivo inerme all'idea di dover parlare a Paulo del bambino. Ero agitata, come prima di una verifica, di una gara, di un esame, e non sapevo assolutamente in quali termini affrontare la discussione.

«Vieni, c'è una fontanella laggiù.» mi aiutò ad alzarmi. «Dimmi che stai bene, per favore.» esalò poi quando, un braccio intorno alle mie spalle, camminavamo tra la poca gente.
«Sto bene.» mi sciacquai la bocca e la faccia con l'acqua fresca. «Grazie.» fissai gli occhi nei sui suoi.
«Mi sei mancata.» sussurrò sulle mie labbra, prima di baciarmi dolcemente.

«Saprò di vomito da morire.» posai la fronte sulla sua. «Che schifo.» mi portai le mani sul viso, sconsolata.
«Sono venuto con il rischio di vederti sposata a qualcun altro, il vomito è il male minore.» mi sollevò il mento, costringendomi a guardarlo negli occhi. «Ti amo Velia, davvero.»
«Lo so, Pau, me l'hai dimostrato tante volte e continui a farlo ogni giorno, anche con le piccole cose.» lo baciai a stampo.

«Sei così bella.» si staccò, passandomi il pollice sulle labbra. «Ed io ti amo così tanto.»
«So che non è il momento adatto, ma se non lo faccio adesso...» esitai.
«È il "dobbiamo parlare"?» mormorò, amaro. «La frase peggiore che esista.»
«Aspettiamo un bambino.» gli presi una mano e la portai sulla mia pancia.
«Un bambino?» spalancò gli occhi.

«Già, un bambino. Hai presente quegli esserini...»
«So cos'è un bambino!» sbottò. «Io... tu... noi...»
«Io e te, sì. Un bambino. Quando abbiamo scopato, sai, il tuo spermatozoo è...» venni interrotta di nuovo.
«So come funziona.» puntualizzò.
«E allora? Dove sta il problema?» gli chiesi, leggermente alterata dal suo tergiversare.
«Noi.» ci indicò. «Un bambino.»

«La pazienza è la virtù dei forti, la nonna lo diceva sempre.» sussurrai, tra me e me.
«Ma noi noi?» domandò ancora.
«Vedi altri noi che non siamo noi?» accennai alla strada deserta. «Noi, io e te. Non ho scopato con Marc, se è questo che intendi. Per l'amor del cielo, mi fa ribrezzo il solo pensiero di andarci a letto insieme.» arricciai il naso. «Siamo amici.»
«Diventerò papà. Ma io non voglio diventare papà. Non sono capace.» scosse velocemente la testa. «No!»

«Cosa stai dicendo?» gli afferrai un polso, preoccupata. «Io voglio questo bambino.»
«Io no. Cosa me ne faccio di un bambino?» si divincolò dalla mia presa, allontanandosi di un passo.
«Tu sei pazzo!» mi lasciai cadere sull'asfalto. «Paulo, davvero, dimmi che è tutto uno scherzo di pessimo gusto.»
«Stavi sposando un altro!» urlò.
«Non è vero! Hai visto benissimo che mio padre mi ha picchiata per costringermi a farlo. Non è colpa mia.»

«Come posso fidarmi di te?»
«Come hai fatto fino ad adesso. Un bambino non cambia le cose.» singhiozzai. Stupidi ormoni. «È uno scherzo di pessimo gusto. Dimmi che è così.» ripetei, come in loop.
«Io un figlio. Io? Ma mi vedi? Io che non so stirarmi i calzettoni da solo, io che, quando è ora di cena, cerco di scroccare un pasto ai miei compagni di squadra perché non so cucinare, io che, se non avessi la donna delle pulizie, dormirei sul divano, perché non so fare il letto.»

«E allora? Si impara, come per tutte le cose.» asciugai le lacrime nel tulle della gonna. «Impareremo insieme. Il capitano non lascia la nave nel momento del naufragio.»
«E poi come lo dico alla mamma? Un figlio prima del matrimonio? Un disastro, una catastrofe, una rovina!» si passò nervosamente una mano tra i capelli.

«Mi hai insegnato tu ad essere forte, a non mollare sulla linea del traguardo, perché solo chi crede in ciò che fa può diventare tutto ciò che vuole. La nostra storia è iniziata male e proseguita peggio, tra la distanza, il Campionato, Trenitalia, Oriana, Marc, i Mondiali... non è il momento di tirare i remi in barca, non è ancora tutto perduto. Stiamo affogando, è vero, ma possiamo nuotare fino a riva e costruire una zattera per rincominciare insieme. Più forti di prima.» sussurrai.

«C'è un Paulino qui dentro che cresce con la speranza di avere i genitori perfetti. Io non posso promettergli che sarò perfetta ma posso assicurargli che ci sarò, in qualunque situazione. Dagli una possibilità, datti una possibilità. Pensaci.» mi alzai in piedi. «Ti amo, Argentino, sei il più tutto di tutti.» lo baciai su una guancia, prima di voltare i tacchi per andarmene.

«Velia.» mi fermò, afferrandomi per una spalla.
«Sì?» lo guardai.
«Sono un coglione. E ti amo anche io.» si inginocchiò, baciandomi la pancia. «Cresceremo nostro figlio insieme e faremo qualunque cosa per lui, perché un figlio è la cosa più bella che ci possa capitare.»
«Davvero?» sussurrai, tra le lacrime.
«Smetti di piangere!» rise lui, asciugandomi le guance con dei piccoli baci.
«Ormoni.» alzai le spalle, sorridendo. «Grazie di esistere.»

Da Milano col palloneDove le storie prendono vita. Scoprilo ora