13. Angioletto

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"Io che mi sognavo
Di prenderti per mano
E mi taggo a Los Angeles
Ma sono a Misano
E mi vedi stanco solo perché
Sono stanco, sì, ma di te„

Shade

Velia

«Nicolò? Bieni.» incespicò sulla pronuncia un infermiere dell'ospedale di Valencia.
«Vai.» lo incoraggiai.

Mi sistemai meglio sulla seggiola piuttosto scomoda della sala d'attesa, cosciente del fatto che la TAC a cui avrebbero sottoposto il pilota sarebbe durata un bel po' di tempo. Il tempo necessario per comprendere quanto sia facile distruggere tutto e quanto sia lungo e doloroso ricomporre il puzzle nel modo giusto.

«Ciao!» mi sorrise Paulo, dall'altra parte dello schermo.
«Ezechiele.» risposi, secca, per qualche strano motivo.

Non mi aveva fatto niente.

«Tutto bene?» mi chiese.
«A meraviglia.» risposi, sarcastica. «Tu?»
«Bene, dai, si tira avanti tra allenamenti e partite.»
«Sono... felice per te.» esitai.

«Davvero? Non mi sembra.» tirò ad indovinare.
«Senti, non è propriamente il momento adatto...»
«Cosa succede?» chiese, buttandosi sul letto.
«Non ti riguarda.» troncai la discussione.
«Velia...»
«Non ho voglia di litigare.» mi lamentai.

«Dovremmo parlare, prima o poi.» sbuffò.
«Meglio tardi che mai.»
«Non fare domani quello che potresti fare oggi.»
«Esatto, fallo direttamente dopodomani. Litighiamo quando torno in Italia?»

Paulo sorrise appena ed io mi voltai verso la porta dell'ambulatorio, che si era appena aperta, da cui erano usciti Nicolò ed un medico.

«Quei capelli sono orribili.» mi criticò l'Argentino, al che mi portai una mano sul cuore.
«Tu sei orribile.»
«Questa me la lego al dito.» si finse offeso.

«Signorina? Il suo amico ha riportato una frattura scomposta al collo dell'astragalo destro, che necessita di riduzione chirurgica. L'operazione si terrebbe in tarda serata all'ospedale Nisa Parda de Aravaco a Madrid.» sciorinò il medico, in Spagnolo.

Annuii e mi alzai dalla seggiola, scrutando l'espressione perplessa di Paulo.

«Chi sarebbe il tuo amico?» domandò lui, mentre mi avvicinavo a Nicolò.
«Quello che mi ha buttato in acqua. Non ti dovrebbe stare molto simpatico.» constatai, ricordando le parole di Berna.

«Ah, aspetta aspetta... è Capellone! No che non mi sta simpatico.»
«Ovvio.» sbuffai una mezza risata sarcastica, mentre aiutavo Nicolò a scendere le scale. «A te nessuno dei miei amici sta simpatico.»

«Vel, vi lascio discutere tranquilli.» sussurrò il pilota, sceso l'ultimo gradino.
«Posso...»
«Chiarite. Mi siedo laggiù.» indicò una panchina.
«Nicky, sistemiamo tutto insieme, perché tu possa tornare più forte di prima, ok?» gli lasciai un bacio sulla guancia.

«Perché sei in ospedale con lui?» mi riportò alla realtà l'Argentino.
«Ha bisogno di assistenza.»
«Bella Scusa, ritenta e sarai più fortunata.»
«Perché non dovrei esserci?» sbottai.
«Perché ci sei?» insistette.

«Ti piacerebbe se ti mollassero da solo, in un posto di cui non parli la lingua, con una partita decisiva da giocare a cui non puoi partecipare perché sei infortunato? A me no. Lui non ha nessuno qui, Paulo. Nessuno

«È un problema tuo? Ti muore dietro, quello. Tutti ti muoiono dietro.»
«Ha una ragazza.»
«Non cambia le cose.»
«È del '99, abbiamo 5 anni e 8 mesi di differenza, è piccolo.» sbuffai. «E, se volessi stare con lui, non sarei qui a parlare con te, no?» gli chiesi, retorica.

«Ah, fai pure il conto di quanti mesi di differenza avete? Ed io, povero scemo, che sognavo...»
«È nato il mio stesso giorno ma ad ottobre, per quello lo so. Noi abbiamo 93 giorni di differenza, abitiamo a 126 km di distanza in linea d'aria e 146 in macchina. Pensa, prima di sputare sentenze.»

«Io...» sussurrò.
«Tu niente. Tu niente, Paulo. Sono stata una stupida io a non ascoltare Mauro, mi aveva detto di affezionarmi con cautela, ma avevi già fatto tutto da solo.» sbuffai. «Non mi sono mai fatta così tanta strada per qualcuno che conosco così poco, non mi sono mai preoccupata così tanto di cosa dicessero di me le riviste di gossip, perché so quanto tu tenga alla privacy. Devo andare a Madrid, stasera operano Nicolò.»

«Velia, davvero, scusami, non so cosa mi sia preso.»
«Divertiti, Paulo, con i tuoi amici Juventini, le puttanelle che ti porti a letto e l'ennesima Champions che perderete.» chiusi la chiamata, senza lasciarlo parlare.

Raggiunsi Nicolò controvoglia, lasciando cadere il cellulare - spento - nell'apposita tasca dello zainetto che avevo con me.

«Preferirei scendere le scale rotolando, piuttosto che con le stampelle.» commentò lui, contrariato.
«Io mi facevo portare in braccio da mio fratello.» sorrisi appena, grata del fatto che non mi avesse chiesto nulla della conversazione con l'Argentino.

«Ed io come faccio che non ho un fratello?» si lamentò.
«Tu hai me. Non sono forse meglio di un fratello?» domandai, retorica.
«Tu sei meglio e basta, Vel, sei il mio angioletto.» mi abbracciò appena. «Grazie per tutto quello che stai facendo per me.»

Da Milano col palloneDove le storie prendono vita. Scoprilo ora