19. Belén

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"E però io penso che gli spagnoli devono farsi un po' un esame di coscienza, e pensare che se sono dietro, se non sono lì davanti in classifica, non è per colpa mia per il sorpasso che ho fatto lì, ma perché magari devono fare un po' meno pugnette e darci un po' più di gas„

Marco Simoncelli

Velia

«Vel, dove ho messo il cappellino del team?» mi domandò Valentino dalla camera, mentre finivo di legare le scarpe a Tommaso che - da perfetto Juventino - ammirava Paulo in tutta la sua bellezza (cosa che facevo anche io, seppur non propriamente in qualità di tifosa Bianconera).
«Sulla mensola!» risposi, alzando un po' la voce per farmi sentire.
«Vero, grazie! Andiamo a fare colazione?»

Tommaso prese Paulo per mano e lo condusse fuori dal motorhome, in direzione hospitality.

«Ho paura per la gara... più del solito.» sussurrò Valentino, passandomi un braccio sulle spalle e stringendomi a sé.
«Sono qui.» gli baciai una guancia.

Entrammo nella sala dedicata alla colazione, ancora praticamente vuota: la tavolata Spagnola contava una mezza dozzina di piloti, quella Italiana si fermava a due sole unità, Andrea Dovizioso e Danilo Petrucci.

«Buongiorno!» ci salutarono in coro, abbandonando per un attimo la fitta conversazione riguardante il riso lesso che avrebbero mangiato per pranzo.

«Buongiorno.» risposi al saluto, prima di sedermi vicino al pilota Forlivese e prendere Tommaso in braccio.

Bevvi un lungo sorso di cappuccino dalla mia tazza, guardando Paulo litigare con la bustina dello zucchero. Gliela presi dalle mani e l'aprii, senza troppa fatica.

Valentino, spostando leggermente il gomito, mi colpì un braccio. Il sorrisetto malizioso che aveva illuminato il suo viso ricordava in tutto e per tutto quello di Jorge Martin, cosa che mi fece arrossire leggermente. Per fortuna, nel giro di pochi secondi, Andrea Iannone, mano nella mano con Belén, fece il suo ingresso trionfale, togliendomi dall'imbarazzo.

«Un Argentino, non ci credo!» esclamò lei, sedendosi accanto a Paulo. Erano pochissimi i piloti non Europei che partecipavano al mondiale ed i Sudamericani tendevano a zero.

«Velia?» domandò Andrea, come a volere una spiegazione.
«Colpa sua.» indicai Valentino.
«Oddio...» borbottò il pilota di Vasto, quando i due intavolarono una conversazione in Spagnolo. «Non avresti dovuto fare una cosa del genere.» rimproverò poi Valentino che, intento a girare il cucchiaino nella sua tazza, non dava ascolto a nessuno.

Tommaso assaggiò la schiuma del mio cappuccino, sporcandosi la bocca. Paulo lo vide e mi passò un tovagliolino, senza distogliere l'attenzione da Belén.

Iannone mi sorrise, con l'aria di chi la sapeva lunga.
«Piantala!» lo schiaffeggiai sulla nuca.

Andrea Migno raggiunse il tavolo insieme a tutti gli altri ragazzi dell'Academy e, sedutosi alla sinistra del Vastese, ripeté il mio gesto, colpendo il pilota in maniera molto più violenta.

«Ma che problemi hai?» si lamentò la vittima, mentre massaggiava il punto colpito.
«Io? Nessuno ma, siccome Velia ha sempre ragione, nel dubbio, l'ho imitata.» rispose il Romagnolo, battendomi il cinque. «Perché c'è uno Juventino al nostro tavolo? Toro nel cuore.»

Iannone mi lanciò un'occhiata eloquente, che Migno non tardò a captare: di male in peggio.

«Che poi c'è il tavolo degli Spagnoli, trasferitevi.» tornò a parlare Migno, in direzione dei due Sudamericani. «Almeno vi capite.»

«Ma anche no, ci sono già troppi morti di figa qui, evitiamo che la situazione peggiori.» li difese Iannone.
«Lo dici per loro o per il tuo interesse di fidanzato geloso?» rigirai il coltello nella piaga, ridendo.

E, mentre Paulo parlava con Belén di quel "noi" che ancora non esisteva, in uno Spagnolo tanto stretto da risultarmi difficile seguire il discorso, io osservavo Tommaso togliere la carta regalo da un pacchettino mal confezionato.

«Guarda cosa mi ha regalato lo zio Marc!» trillò, felice, correndomi incontro, con il modellino di una Honda in una mano ed un polso di Márquez nell'altra.

«Cosa si dice?» gli chiesi, presolo in braccio, sotto lo sguardo del Catalano.
«Grazie!» esclamò, con un sorriso gigante sulle labbra.

Lo misi per terra e lo lasciai giocare, appoggiando il tovagliolo di carta sul tavolo e spostandomi leggermente dai miei connazionali. Paulo osservava i miei movimenti con la coda dell'occhio.

«Non dovevi, davvero.» dissi a Marc che, le mani in tasca, aspettava che uscissi con lui dalla sala.

«Il tuo ragazzo mi picchierebbe.» esordì, una volta fuori.
«Non stiamo insieme.» sbuffai. «E ha avuto solo fidanzate Argentine, more e con le gambe.»
«Fidati, sarai l'eccezione che conferma la regola.»
«Mai fidarsi degli Spagnoli.» scossi la testa.

La rivalità tra Italiani e Spagnoli era all'ordine del giorno nel mondo del motociclismo e più volte c'era stato un "gioco di squadra" volto a favorirsi tra connazionali.

«Bedrai se non ho ragione... entro tre mesi finite a letto insieme. Scommettiamo?» mi propose, contaminando - come sempre - l'Italiano con il suo marcato accento Spagnolo.
No.
«Cosa scommettiamo?»
«Sceglie chi bince.» mi tese la mano.

Accettai la stretta, anche se, vedendo Paulo ridere con Tommaso, sentivo la vittoria scivolarmi dalle mani. Il sole illuminava il suo sorriso radioso e lui, bello come pochi, sembrava fatto apposta per attirare l'attenzione delle persone circostanti.

«Mai scendere a patti con il nemico.» commentò Valentino che, posatomi un braccio sulle spalle, mi allontanò da Márquez. «Andiamo?» chiese poi.

«Buona fortuna, 93.» augurai all'altro pilota.
«Non dite che porta sfortuna augurarlo?» domandò, accigliato.
«Appunto.» gli sorrisi, facendo riferimento a quella credenza prettamente Romagnola capace di contagiare un po' tutti nel paddock: auguri no, in bocca al lupo sì.

Da Milano col palloneDove le storie prendono vita. Scoprilo ora