86. Mutande

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"E mi ami più di quanto mi aspettassi"

Rkomi

«Non celebro nessun matrimonio. Si tenga i suoi soldi, la sua fama e... e basta, cos'altro le resta nella vita? Niente. Due figli che sono sopravvissuti senza di lei fino ad adesso e che sopravviveranno senza di lei per il resto dei loro giorni, una moglie che frigna da quando ha capito quanto abbia reso la loro vita un inferno, l'astio della sua famiglia e poco più.»

«Sono d'accordo.» Mario si alzò dal banco, iniziando a parlare con tono di voce fermo. «Ci deve essere qualcosa di fantastico nel distruggere la vita dei propri figli, qualcosa di talmente geniale che io non ho ancora scoperto. La sola idea di costringere Pia e Lion a scelte che non condividono mi fa stare male, forse più di quanto possa infastidire loro. È sbagliato. E noi abbiamo sbagliato tante volte» guardò Velia «ma, in un modo o nell'altro, abbiamo sempre riconosciuto i nostri errori. È ora che lo faccia anche qualcun altro.»

«Avere dei genitori è avere qualcuno su cui contare, qualcuno da cui andare quando le cose non vanno nel verso giusto, qualcuno che c'è nonostante tutto, che ti dà la libertà di fare le cose giuste e le cose sbagliate, non tanto sgridandoti a caso, quanto piuttosto cercando di spiegarti il motivo dei tuoi errori, al fine di prevederli ed evitarli.» Emiliano, dal suo posto accanto a Mario, fu il secondo a dare ragione al sacerdote.

«Anche se ho avuto un'infanzia sgangherata, posso dire di essere stato felice.» proseguì. «Conosco Valentino e Velia da sempre. All'inizio mi sembravano gli amici dalla vita perfetta: famiglia unita, tanti soldi, bravi a scuola, frequentazioni giuste, testa a posto. Da invidiare, per me che sono cresciuto con la muffa sul soffitto, i genitori separati, le compagnie sbagliate.» il tono di voce vacillò appena. «Invece ho capito prestissimo che non era così. L'infanzia dipende dai genitori, è vero, ma vivremmo in un mondo di sosia, se questi avessero pieno potere decisionale sull'intera vita dei figli. Non siamo più nel Medioevo.»

Una signora Orientale, che conosceva l'Italiano abbastanza bene da comprendere quale piega stesse prendendo la conversazione, si alzò a sua volta, dichiarandosi contraria al matrimonio ed adducendo motivazioni personali alla posizione appena presa. Il suo esempio venne seguito dalla maggior parte degli invitati al matrimonio, il cui boicottaggio stava andando in porto prima e meglio del previsto.

«Quando sembro maleducato non è perché sono un bambino viziato, ma perché non ho ancora imparato a combattere le mie frustrazioni. C'è ancora un ragazzo dentro di me. A volte incanta il mondo, altre volte fa arrabbiare tutti. Mi ci è voluto tempo per accettare le critiche, ho sempre cercato di cancellare tutto e tutti, rinchiudendomi in me stesso per evitare il giudizio degli altri.» Neymar ruppe il silenzio, parlando in Portoghese. Guardava fisso il pavimento ma i suoi occhi non vedevano assolutamente niente.

«So che non c'entra nulla ma volevo solo dire che voi mi siete sempre stati vicini, nei momenti brutti, quando non volevo avere a che fare con nessuno, siete stati una seconda famiglia per me. Voi, che non avete mai avuto una famiglia. Semplicemente penso non sia giusto che vi vengano tarpate le ali un'altra volta.» abbozzò un sorriso, alzando appena lo sguardo.
«Ti voglio bene.» sorrise anche Velia, mentre andava ad abbracciare il Brasiliano.
«Anche io, seppur te lo dica raramente.» fece lo stesso Valentino.

«È vero.» intervenne Lewis. «La gente non può immaginare quanto sia difficile essere un atleta ad alto livello, si dà sempre per scontato che, essendo dove siamo, la strada debba per forza essere tutta in discesa. Siamo umani anche noi ed, in quanto tali, sbagliamo ma è come si attraversano le difficoltà che conta. Voi mi avete sempre compreso ed aiutato, tutte le volte. Tra tutti i Ferraristi che mi sono ostili, ho trovato dei veri amici: questo è il minimo che possa fare per dimostrarvi quanto siate importanti per me.» concluse l'Inglese.
«Rivendico il mio essere Ferrarista.» rise Valentino, tirando Lewis nell'abbraccio. «Un Ferrarista che tifa Hamilton ovunque tranne che a Monza.»

«Velia.» la voce glaciale del padre fece voltare di scatto la ragazza. «Chi sarebbe il tuo fidanzato, tra questa marmaglia?»
«Io...» lei si staccò dall'abbraccio, guardando il suo Argentino preferito, come a chiedergli se davvero fosse sicuro di diventare parte di quella situazione scomoda. Il ragazzo annuì appena, come a rassicurarla. «Lui.» lo indicò quindi Velia.
«Quello bassino là in fondo?» domandò il padre. «E cos'avrebbe di tanto speciale? Cosa fa nella vita? Perché proprio lui?»

«Perché cinque anni fa giocava nella Serie B Argentina. Tre anni fa in quella Italiana. Oggi indossa la dieci della Juve. Ha lasciato il suo Paese d'origine, trasferendosi in Italia, uno Stato del quale nemmeno conosceva la lingua. Suo padre aveva un sogno, che almeno uno dei suoi figli diventasse un calciatore. Paulo è un esempio, per me e per tutti, e se io merito di sposare Subaru, lui non merita che le vostre scelte balzane gli ricadano addosso.» sospirò. «Io e Vale non vi abbiamo scelti, ci siete capitati, va bene così. Paulo, però, non ha colpe.»

«Velia...» sussurrò l'Argentino.
«Rincorre un pallone insieme ad altri nove pazzoidi in mutande?» sbottò il padre.
«Calcio a undici, non a cinque.» lo corresse pazientemente la figlia. «E negli anni Sessanta giocavano in mutande. Ora, se non vi dispiace...» prese per mano Paulo, allontanandosi dalla folla.
«Cos...»
«Ho bisogno di un bagno. O di un cestino, fa lo stesso. E dobbiamo parlare.»

Continua...

Da Milano col palloneDove le storie prendono vita. Scoprilo ora