61. Testa bassa e pedalare

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"A volte non conta chi sei
I sogni vanno e vengono
Ma se faccio un gol per me è ok
Che abbia vinto o no„

Emis Killa

17/06/2018

Velia

Uno sbuffo di vento fece ondeggiare la gonna del mio abitino quando mi nascosi dietro le lenti specchiate degli occhiali da sole: la notte precedente avevo trascorso troppo tempo con Marc a guardare le stelle, una birra tra le mani e tanta voglia di sciogliere i pensieri strani sull'asfalto ancora tiepido del circuito di Barcellona.

«Tutto bene?» Valentino mi mise un braccio sulle spalle mentre raggiungevamo il box, dopo aver seguito la gara di Moto3 dal muretto.

Enea Bastianini aveva vinto di misura e Marco Bezzecchi, appena dietro di lui, aveva allungato in Campionato su Jorge Martín.

«Sì, solo... niente.» scossi la testa.
«Marc?» chiese lui, cercando di comprendere da dove scaturisse la mia aria pensierosa.

«Anche. Sto bene con lui ma non è Paulo, però Paulo è con quella e Marc è con me.» sbuffai. «Ma non voglio usarlo per riavere indietro uno che non mi vuole, piuttosto sto così con lui e tanti saluti all'Argentino.»

«Dov'è finita mia sorella, quella determinata che non vuole mai perdere e infatti non perde mai?»
«Ho imparato a farmene una ragione.» mi sedetti sulla sua poltrona.

«Niente Russia, niente vacanze, niente fidanzato: testa bassa e pedalare. Devo fare il tempo per qualificarmi agli Europei con i normodotati, l'ho già fatto in Australia e posso rifarlo a Roma.»

Per quell'anno avevo già tirato la corda abbastanza: o tutto o niente. Paulo aveva finito di essere il mio tutto, il nuoto continuava ad esserlo. Era semplice come bere un bicchier d'acqua. Per una persona con entrambe le braccia ingessate. Dalle spalle ai polsi.

Valentino uscì dal retro box con la tuta slacciata che gli penzolava sui fianchi, parlottò con alcuni meccanici sulla strategia e poi si mise a studiare le mappe della pista con i relativi appunti, scritti in un linguaggio indefinibile, un misto di Italiano, Inglese e Spagnolo, mentre io mi estraniavo da tutto il resto, prestando attenzione agli ultimi giri della gara di Moto2.

"¿Podemos vernos? (Possiamo vederci?)"

"Marc, non è strano il fatto che appena prima di una gara tu stia pensando a me?"

"El hecho de que yo piense en ti no es raro, es la una. (Il fatto che ti stia pensando non è strano, è l'una.)"

"Trova un modo per scomparire dal tuo box, ci vediamo al solito posto tra cinque minuti"

«Vado a fare due passi, ci vediamo in griglia.» posai una mano sulla spalla di Valentino.
«Stai attenta.» annuì lui distrattamente, percorrendo con un dito il tracciato riportato sul foglio, al che me ne andai senza nemmeno rispondergli.

«Marc!» richiamai il Catalano che, appoggiato al piccolo scooter arancione marchiato con il 93, fissava il vuoto.
«Estás aquí. (Sei qui.)» annuì, più a se stesso che a me.

«Già.» spostai il peso da una protesi all'altra, senza sapere bene che cosa dire. «Perché?» domandai allora.
«Avevo solo ganas de verte (voglia di vederti).» scrollò le spalle.

«Mi avresti potuta vedere tranquillamente in griglia.» lisciai la gonna del vestito, senza che questa ne avesse un particolare bisogno.
«No, in griglia non esiste nadie (nessuno) e tu lo sai meglio de mí.» mi spostò un ciuffo di capelli che si era sfilato dalla treccia.

«E allora...»
«Non hai mai fatto qualcosa così, porque querías (perché ti andava)? Che so, prendere un avión (aereo) y lasciare in pausa tutto qualche ora por puro placer (per il puro gusto di farlo)?»

Come quella volta che ero andata a Torino per il puro gusto di rivedere Paulo? Scossi la testa, come a voler scacciare quel ricordo fastidiosamente acuminato dal mio cervello.

«Quería verte (volevo vederti), Belia, ed ho paura di questo. Perché quería verte?» mi sfiorò una guancia.
«Marc Márquez ha paura? Uno che per lavoro sfreccia a 300 km/h su una moto ha anche paura?» lo derisi appena, appoggiando una mano sulla sua, che stava indugiando un po' troppo sul mio viso.

«Mi fai la morale tu, che sei prácticamente passata sotto ad un tren e vai in giro a raccontarlo?» rise lui.
«Non vado in giro a raccontarlo.» mi imbronciai, incrociando le braccia al petto.

«Eres adorable.» si staccò dallo scooter, per poi venirmi vicino, mentre io arrossivo terribilmente. «E sai di esserlo.»
«Piantala!» gli punzecchiai un bicipite con l'indice, senza smuoverlo in modo particolare.

«No, mi piace quando te sonrojas (arrossisci).» sorrise sornione, al che arrossii ancora di più, scoprendomi particolarmente interessata alle punte delle mie Nike.

Perché mi faceva quell'effetto, se non era Paulo? Non volevo prendermi una cotta esagerata per qualcuno, men che meno per uno dei diretti avversari di mio fratello.

«Sarebbe... è ora di andare.» ignorai la sua risposta.
«Sì... sì, justo. Te llevo (ti porto) in pit lane così poi raggiungi Bale in griglia?» sembrò ritornare con i piedi per terra.
«Grazie.» lo seguii sullo scooter, abbracciandolo in modo impacciato all'altezza della vita.

Perché stava diventando tutto così maledettamente difficile con lui?

Quando arrivammo al suo box, smontai dallo scooter e tentennai davanti al Catalano, che stava per entrare in modalità da gara.

«Marc.» gli posai una mano sulla spalla. «Volevi vedermi per lo stesso motivo che mi ha spinto ad accettare di vederti. In bocca al lupo per la gara, anche se vincerà Vale. Va troppo forte oggi.»

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