26. Braccio

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"All'inizio era come magia
Assuefatto e con il fuoco dentro
Sempre a letto come in malattia
Pure quando c'era poco tempo
Ora invece non so cosa sia
Ossessione oppure sentimento?„

Emis Killa

Capodanno 2018

Velia

Aprii gli occhi, lentamente, poi provai a sollevare il busto dal materasso, ma fu una pessima idea.

Un capogiro mi confermò che definire "colossale" la sbronza presa durante i festeggiamenti per il mio record del mondo era solo uno stupido tentativo di ridimensionare i danni da me compiuti.

E poi c'era un braccio.

Sbuffai pesantemente, poi indossai la biancheria che giaceva sul pavimento senza alzarmi dal letto né scomodare più di tanto il possessore del braccio che, ignaro, dormiva.

Cercai di fare mente locale e realizzai che, dopo cena, ci eravamo trasferiti in un locale del centro, inidentificabile dal mio cervello. Musica, alcool, luci stroboscopiche e corpi sudati lasciavano il posto in modo non del tutto chiaro ad un taxi.

Scesa dall'auto, i ricordi tornavano un po' più nitidi. I ragazzi alla reception dell'hotel mi conoscevano e non avrebbero detto a nessuno che Paulo Dybala, a Riccione con la fidanzata, aveva passato la notte insieme ad una ragazza che gli aveva appena negato un'innocente stretta di mano.

La finestra era spalancata. Solo noi sapevamo come avessimo fatto a non morire ibernati, il primo gennaio.

Io, stupida, ridevo, nonostante fosse venuto con Antonella, perché Paulo sembrava aver dimenticato di colpo tutto l'Italiano che sapeva.

«No hablo Italiano. (Non parlo Italiano.)» aveva farfugliato.
«L'avevo capito.»
«¿Cómo? (Cosa?)»
«Nada. (Niente.)» avevo soffocato un'ulteriore risata, cercando di ricordare lo Spagnolo che sapevo bene a causa di mio fratello: i piloti di moto erano perlopiù Italiani o Spagnoli.

Mossi la testa ed una mano mi colpì in piena faccia.
«Paulo!» esclamai, infastidita.
«Anto, ancora un secondo...»

Sollevai il suo braccio dalla mia pancia di scatto e glielo lasciai cadere addosso.

«Carissimo Ezechiele, ti voglio un bene dell'anima ma...» incominciai.
«Davvero?»
«No, porca puttana. E non sono Antonella.»
«Hai un gatto?» aprì un occhio.
«Sei scemo?»

«Perché siamo nello stesso letto senza vestiti?» mi parve immediatamente sveglio.
«A me lo chiedi?» recuperai il mio abito lungo dal pavimento.
«Devo andare in bagno.» si alzò.
«No!» lo afferrai per un braccio. «Stai fermo un secondo.»

«Cosa?»
«Litighiamo per colpa tua, finiamo a letto, evidentemente non a dormire,» lanciai un'occhiata distratta ai graffi sui nostri corpi «poi ci comportiamo come se non fosse successo niente...»

«Mi hai detto che non hai un figlio ma tuo fratello ha detto il contrario. È colpa mia?» si vestì.
«Mi tiri su la zip?» gli indicai la mia schiena, sbloccando l'iPhone.
«Ti sto parlando.» sbottò.

"Ho perso" scrissi a Marquez, riluttante.

«Io non ho un figlio.» mi sedetti sul letto. «Mio fratello, a sedici anni, ha messo incinta una, che voleva metterci nei casini. Le ho dovuto dare i miei documenti, onde evitare che la faccenda saltasse fuori con la stampa. I miei erano all'estero per lavoro, quando sono tornati Tommi era già nato. Pensavano fosse figlio mio. Se avessimo ammazzato qualcuno, sarebbe stato meglio.» sbottai.

«Scusa.» posò la fronte sulla mia.
«Io pensavo fossi tornato con Antonella.»
«Con lei e con quella palla pelosa del suo gatto? Mai!»
«Allora evita di farmi prendere certi infarti e venire alle mie gare con la tua ex.» sussurrai, a pochi millimetri della sua bocca.

«Senti...»
«Sì?» lo invitai a proseguire.
«Forse non è il momento migliore ma...»
«Ma?»

«Ok, non ho bisogno di una corista.» sbuffò.
«La smetto.» incrociai le braccia sotto al seno, ignorando lo scollo del mio abito, cosa che l'Argentino non fece.

«Non aiuti così...» si passò una mano tra i capelli.
«Sei bello in imbarazzo.» gli sfiorai una guancia con i polpastrelli, disegnando il profilo perfetto della sua mascella squadrata al punto giusto.
«Vuoi essere la mia ragazza?»

Sì!
«Perché?»
Brava, Velia, un genio.
«Avrei preferito un "no".» borbottò.

«Ero indecisa, ma non volevo smontarti subito.»
«Vedi?»
«Cosa?» aggrottai la fronte.

«Un asino che vola.» sospirò. «A te basta qualcuno che ti parli di macchine, calcio e moto, qualcuno che abbia avuto un passato abbastanza "difficile" da poterti capire, che poi lo riteniamo tale solo perché altri sono cresciuti diversamente.»

«Ezechiele...»
«Ma io sono un tale disastro...» sussurrò. «Non so cucinare quasi niente, non faccio il bagno se non tocco il fondo, non so controllare le emozioni, non parlo bene l'Italiano.» giocherellò con le sue dita.

«Il tuo Italiano non è così male.» risi, consapevole di averlo fatto penare abbastanza. «Sì.» posai una mano sulle sue.
«Davvero?»

«Posso diventare la tua ragazza?» gli riproposi il quesito. «L'offerta resta valida?»
«Fino ad esaurimento scorte e solo nei punti vendita aderenti.»
«Stupido!» lo baciai sulle labbra, facendolo cadere sul letto con me.

«Non possiamo neanche uscire, siamo vestiti troppo bene...» rise, mentre si sorreggeva con i gomiti.
«Non ti piace qui? È un po' come il Paradiso, non c'è nessuno che chieda autografi o foto.» soffiai sulle sue labbra.

«In Paradiso non ci sono gli angeli?»
«Che camminano sulle nuvole.» immaginai.
«Io volerei, se avessi le ali.» puntò i suoi occhi cerulei nei miei.

«Sei così bello...» mormorai, arrossendo appena.
«Davvero?» un sorriso sbilenco gli adornò le labbra.
«Piantala che lo sai. Ti voglio bene, Paulo.»
«Anche io, non sai quanto.»

Da Milano col palloneDove le storie prendono vita. Scoprilo ora