18. Cenerentola

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"Ma mi insulti solo dopo mezzanotte
Ti proverò che provi qualcosa di forte
O mi ami da morire o mi odi a morte
E in entrambi i casi è la stessa sorte
E sono sincero
Io dico davvero
Che non è il tramonto
Ma sei tu che fai arrossire il cielo„

Fred de Palma

Velia

«Perché scostante non ha lo stesso significato di incostante?» chiese la voce, più vicina. «Alla fine la "s" nega, pensa a "svelare". È negato il velo.»
«Ma che ne so, sono le cinque di mattina...» sbuffò un'altra voce. «Anche "in" nega.» constatò poi.
«Vedi? È strano.» gli rispose il primo. «Guarda che c'è la luce accesa.»

I passi si fermarono davanti alla stanzetta in cui eravamo.

«Prendi le rose.» sussurrai a Paulo.
«Cosa?! E se entrano?»
«Prendile, per favore.» ripetei. «Si insospettirebbero. Sanno che le rose azzurre sono per me e sanno anche che non le lascio mai in giro ma le porto nel motorhome o in hotel.»

Fece come gli avevo detto e tornò sotto al tavolo.

«Spegni tu, ho sonno.» sbadigliò uno dei due meccanici.
«Ok, però aspettami.» un paio di scarpe entrarono nella stanzetta.

L'uomo sistemò dei fogli, sbattendoli leggermente sulla scrivania, poi diede una spinta alla seggiola con le ruote, che urtò una gamba del tavolo e colpì Paulo.

Lo guardai, implorandolo con gli occhi di tacere, ma lui aveva già aperto la bocca. Gli misi una mano sulla nuca e premetti le labbra contro le sue, in modo che non emettesse suoni. Lui spalancò gli occhi al mio gesto avventato, al che provai a scusarmi con lo sguardo.

«Che accidenti c'è qui sotto?» borbottò nuovamente il meccanico, mentre notava che la seggiola non era del tutto sotto al tavolo.
«Oh, ce la fai?» domandò l'altro, da fuori.
«Sistemo la seggiola e arrivo.»
«Ma cosa te ne frega?»

La luce si spense e, con lei, si chiuse la porta.

«Ahia.» sussurrò Paulo, spostata la seggiola. «Mi voleva spaccare una vertebra.»

Soffocai un sorriso contro il tessuto scuro della sua maglia.

«Fammi sistemare quella seggiola.» disse l'uomo, accingendosi a rientrare.

Scorsi un lampo di terrore negli occhi di Paulo e lo tirai sopra di me, in modo che lo spazio fosse sufficiente per tutti.

«Velia, era già abbastanza compromettente prima come cosa...»
«Zitto.» lo rimproverai, spostandomi verso il muro.
«Stai ferma.» gemette lui. «Non ho una doccia gelata a disposizione e non possiamo fare cose rumorose che mi evitino la soluzione già citata.»
«Paulo!» lo rimproverai, in un sussurro, sciogliendomi davanti al suo sorriso malizioso.

La sedia venne sistemata senza ulteriori problemi ed un silenzio di tomba prese ad aleggiare ovunque.

Paulo spostò la causa della nostra vicinanza e si lasciò cadere sul pavimento, appoggiando la testa sul mio seno.

«Mi dispiace. Per tutto.» sussurrai. «Davvero.» gli accarezzai i capelli. «Scusa, Ezechiele, hai ragione, non so cosa voglia dire essere orfani, non avere soldi, trasferirsi in un Paese straniero da giovanissimi, avere dei genitori sempre presenti... però puoi sempre spiegarmelo tu, no?»

«Tutte le volte che vuoi.» si alzò in piedi e mi porse una mano per fare lo stesso. «È incredibile come questo posto sia silenzioso di notte.» constatò poi, raccogliendo le rose dal pavimento. «Sembra appartenere ad un'altra dimensione.»

«C'è un posto ancora più bello...» indugiai io, con gli occhi fissi nei suoi. Saltellai fino alle stampelle e lasciai che uscisse dalla stanzetta, poi spensi la luce e mi chiusi la porta alle spalle.

Camminammo fianco a fianco per tutta la pit lane e per un breve tratto di pista, fino alla curva 14, dove c'era un piccolo laghetto artificiale. Mi coricai sul lato esterno della pista, un braccio dietro la testa, e Paulo mi imitò.

Il blu si stava sporcando di rosa in cielo, quasi come se la Terra si volesse ornare di un mantello dai colori caldi e materni, in grado di abbracciarti e coccolarti con dolcezza (nella foto, anche se il circuito è l'autodromo internazionale del Mugello).

«Velia, sei bellissima...» sussurrò Paulo, sfiorandomi una guancia con i polpastrelli della mano. «Ed io sono stato così stupido a lasciarti andare.» sbuffò.

Accennai un sorriso timido, arrossendo appena. L'Argentino si spostò su di me lentamente, sorreggendosi sui gomiti per non pesare troppo.

«Ti voglio bene, Ezechiele.» lo fissai negli occhi.
«Oh, anche io, non sai quanto.» mi baciò.

Gli accarezzai la mano sinistra, poi il braccio, la clavicola ed il retro del collo, fino a tirargli leggermente i capelli, facendolo gemere. Ribaltai la situazione con un colpo di reni e lasciai che litigasse con la mia canotta rimborsata nei jeans corti, per riuscire ad attirarmi di più contro il suo corpo, premendo le mani sulla mia schiena. Posai la fronte sulla sua, perdendomi a guardare ogni particolare dei suoi occhi illuminati dall'aurora.

«Io devo andare, ho promesso a Vale che sarei tornata prima dell'alba.» sussurrai, controvoglia.
«Andiamo, Cenerentola.» mi sorrise appena. «Ti accompagno.»

Da Milano col palloneDove le storie prendono vita. Scoprilo ora