11. Lattuga di mare

3.6K 80 17
                                    

"Ali di cera che si sciolgono al sole
È sempre imprevedibile la rotta dell'amore e cado
Oh cado
Tu mi porti su e poi mi lasci cadere
Tu mi porti su e poi mi lasci cadere„

Giorgia

Velia

Anche quella volta il termine "vacanza" per me e Valentino poteva assumere un solo significato: lasso più o meno breve di tempo durante il quale ti alleni poco, perché ne passi la maggior parte a studiare. Avremmo potuto mollare la scuola a sedici anni - anche prima, se solo lo Stato lo avesse concesso - ma avevamo deciso di continuare, più per ambizione che per altro.

In quel momento eravamo stravaccati in spiaggia, con un libro di Matematica in due e vari appunti tra le mani.

«Quindi semplifichi questi due e poi ti restano solo le radici.» indicai un angolo del foglio. Valentino annuì, l'espressione di chi aveva capito.

«Venite a fare il bagno?» ci interruppe Nicolò Bulega (nella foto), pilota di Moto3 in vacanza con noi, che passava di lì alla ricerca di qualcuno da buttare in acqua.
«Perché, se ci sono dieci persone, tu devi chiamare proprio noi?» domandai.

«Siete gli unici di tutta la spiaggia a fare i compiti.» commentò, ridendo.
«Se vuoi restare una capra, non è colpa mia.» allontanai dal viso una ciocca di capelli.
«Dai, dai, dai, dai!» s'impuntò.
«Nicky...»
«Oh, Bulega, non rompere le palle.» intervenne - con la solita grazia - Valentino.

«Ah, siete incredibili!» sbuffò. «Fa un caldo assassino e voi state sotto al sole cocente con un libro di Matematica? Velia, almeno tu. Per favore! Ti porto in braccio fino all'acqua, così non ti insabbi neanche le mani.» mi implorò, perché sapeva che avrei dovuto raggiungere l'acqua camminando sulle mani.

«Così?» chiese Vale, al che distolsi lo sguardo dal pilotino.
«Sì... sì, così va bene.» sfiorai il foglio con le dita.

Nicolò sollevò una manciata di sabbia e me la lanciò sulla schiena.

«Ma cosa fai? Scotta!» mi divincolai, quasi fossi stata punta da uno strano insetto.
«Posso ricoprirti dalla testa ai piedi... oppure puoi venire in acqua.» mi minacciò, mentre prendeva un'altra manciata di sabbia.

«No, la sabbia bagnata no. Si appiccica.» mi opposi.
«Ma non scotta. Vuoi provare?» chiese, il tono di chi la sapeva lunga.
«No, non voglio provare, grazie.»

«Ah no? Ottimo!» mi caricò di peso su una spalla, come un sacco di patate, e finii con il didietro all'aria.
«Lasciami andare.» sibilai.

«Dobbiamo sempre farci riconoscere per colpa tua... mah, queste manie di protagonismo non le capisco.» borbottò.
«Colpa mia? Tu sei una bestia e lo stai dimostrando. Lasciami andare, ora.» dissi, con tono autoritario.

«Ora? Come vuoi.» mi fece cadere di colpo nell'acqua alta poco più che una spanna.
«Sei un ragazzino morto!» gridai.

«Piano con gli insulti...» indietreggiò di un passo. «E poi abbiamo solo cinque anni di differenza.»

«Ti scavo la fossa a mano, ti seppellisco e poi ti costruisco pure la lapide di sabbia. Anche il mazzo di alghe al posto dei fiori non ci starebbe male...» cospirai, una mano sul mento.

Raccolsi un ciuffo di lattuga di mare che galleggiava lì vicino e gli saltai sulle spalle, aiutata dalle protesi che non avevo avuto il tempo di togliere, attentando all'incolumità dei suoi amati capelli.

«Metti giù quella cosa o, come ti ho tenuta su, ti lascio cadere.» mi minacciò, dopo avermi afferrata per le cosce.
«Tu mi porti su...» canticchiai.
«Poi mi lasci cadere.» rispose lui, ridendo.
«Cosa ci guadagno se la ributto in acqua?» gli chiesi, mentre sventolavo l'essere malefico davanti alla sua faccia.

«Sei in vacanza con me, cos'altro vuoi dalla vita?» sorrise sornione. «Senza di me la tua vita sarebbe squallida e triste, come il colore delle boe stinte dal sole.» si vantò.
«Modestia portami via.» feci cadere l'alga in acqua per la disperazione.

«Velia, Velia!» esclamò il piccolo Tommi, correndoci incontro.
«Dimmi.» lo esortai, mentre, scesa dalle spalle di Nicolò, lo afferravo al volo.
«Facciamo un castello di sabbia?» mi domandò, con quegli occhioni dolci a cui proprio non sapevo resistere. «Vieni anche tu, Bubi!» si aggrappò ad un braccio del pilota.

Tommaso aveva inventato quel nomignolo quando ancora non riusciva a pronunciare la parola Nicolò per intero ed ogni tanto lo tirava fuori dal dimenticatoio, riutilizzandolo per la gioia dell'interessato.

«Hai chiesto a Scott e a Kiara se vengono a farci compagnia?» gli domandai io, in cerca di complici contro Bulega, che avrebbe fatto di tutto per ricoprirmi di sabbia piuttosto che riempire un secchiello.
«No. Vado!» si divincolò, scendendo dalle mie braccia e trotterellando incontro ai piccioncini che - ignari della mia trovata geniale - sonnecchiavano beati al sole.

Da Milano col palloneDove le storie prendono vita. Scoprilo ora