65. Neve

1.5K 54 5
                                    

(Dam's pov)

Febbraio 2031

«Vic, dove sei? Sembra che tra un po' scoppi una tempesta.»

«Sono qui.»

Guardai subito verso la porta che un istante dopo si aprì. Victoria entrò in casa avvolta nella sua pelliccia e con mille buste in mano. Salutò Thomas ed Ethan e poi si fiondò su Mia, prendendola in braccio e mangiandola di baci.

«Mi sei mancata, amore della mamma.»

Mia rideva, rideva sempre non appena vedeva Victoria, un po' come me. Un po' come tutti.

«Ciao anche a te!», scherzai, andandole incontro e stringendola a me.

«Ciao amò», rispose, baciandomi sulle labbra.

Andai a recuperare tutte le buste che aveva lasciato all'ingresso e le portai in camera da letto. Riuscii ad intravedere qualche cosa leopardata e qualche scatola di scarpe.

La prossima volta avrebbe fatto meglio a tornare anche con un armadio nuovo. Non ci stava più niente in quello che avevamo, nonostante fosse già più grande del normale. Avremmo dovuto affittare un appartamento solo per i nostri vestiti.

Appoggiai le buste sul letto e tornai dagli altri, ma mi bloccai sulla porta del piccolo corridoio che divideva la zona giorno dalla zona notte.

Rimasi fermo, immobile, appoggiando il mio peso sullo stipite, mentre la mia mente prese a viaggiare tra mille pensieri.

Se qualcuno mi avesse letto il futuro, qualche anno fa, dicendomi che avrei comprato casa, che mi sarei sposato e che avrei pure avuto una figlia, be', non ci avrei creduto molto. E invece eccomi qua, sabato sera, ora di cena, un paio di pantofole, pantaloni, una canottiera bianca, i capelli legati alla meglio, e non mi stavo scervellando per decidere che cosa mettere per andare ad una festa.

Ethan stava costruendo una pista per i trenini con Mia, Victoria era seduta a gambe incrociate sul divano, accanto a Thomas, e gli stava probabilmente chiedendo quale delle due giacche avrebbe dovuto comprare.

Arriva un tempo in cui la felicità non è più uscire, andare a ballare, fare tardi, rientrare all'alba. Ma la felicità è quando chiudi la porta di casa e tutto quello che desideri, tutto ciò di cui hai bisogno, lo trovi lì: la tua famiglia.

Un appartamento abbastanza grande, in cui all'inizio mi sentivo solo, che ora era così pieno d'amore che avrebbe potuto scoppiare. Quel posto non era solo casa mia, era casa nostra, era il nostro posto, la nostra sala prove, il nostro bar di fiducia, il nostro ristorante preferito (quando non cucinava Victoria), la festa a cui facevamo tardi perché non ne avevamo mai abbastanza di divertirci.

Quel divano aveva ospitato le nostre chiacchierate, le nostre sessioni di scrittura, i sonnellini dopo infinite ore strazianti. Su quel tavolo, io e Vic avevamo fatto l'amore, dopo che il mio tentativo di insegnarle a cucinare qualcosa era miseramente fallito. Il nostro letto aveva accolto tutto l'affetto, l'odio, le litigate, i pianti e i sorrisi. Non vedevo l'ora di svegliarmi la mattina per trovare i suoi capelli biondi sparsi sul mio petto, aspettare i suoi occhi aprirsi e darle il buongiorno.

«Ma non doveva piovere a minuti e fare un disastro?», fece Ethan, scrutando il cielo dalla finestra.

«Così hanno detto in tv, perché?»

Lo raggiunsi, mentre anche Thomas e Victoria facevano lo stesso.

«Oh. Mio. Dio. Non ci credo!», urlò Vic.

Aprì la finestra e corse fuori in terrazza.

«Nevica!!», strillò, saltellando qua e là come una bambina.

Avvolsi una copertina intorno a Mia, la presi in braccio e la portai fuori. Il suo sguardo puntava dritto al cielo, il suo ditino si alzò aspettando che un fiocco di neve lo sfiorasse.

Se ci fosse stato il sereno, i suoi occhi si sarebbero confusi con il cielo.

«Amore, hai visto? Nevica!»

Victoria corse da noi, più felice che mai.

Quando mi ritrovavo in quella situazione, con i loro sorrisi luminosi uno davanti all'altro e i loro occhi che si rispecchiavano a vicenda, io non sapevo chi, dove, quando, cosa guardare e perché. Il mio cervello andava completamente in tilt.

Per quante infinite volte l'avessi già detto, pensato, urlato, scritto, tante altre volte avrei continuato a ripeterlo: non mi sarei mai stancato del suo sorriso, di guardarla sorridere. Mai.

«Oggi non ti ho ancora detto una cosa.»

«Dimmi», disse, spostando l'attenzione su di me.

«Ti amo.»

Posò le mani gelide sulle mie guance, avvicinandosi finché le nostre labbra non si sfiorarono. Ed io, fra quelle mani, ci sarei rimasto volentieri tutta la vita.

«Ti amo anch'io. Tanto, tanto, tanto.»

Solo il ricordo che, anni fa, a volte avevo pensato di rinunciare a Victoria, di rinunciare a noi, mi fa rabbrividire l'anima. Quella ragazza mi aveva cambiato la vita. Anzi, me l'aveva stravolta. Era riuscita a trovare la luce lungo la strada dove io vedevo solo il buio. Con lei, avevo imparato a sognare nonostante non avessi nulla tra le mani, perché non servono un paio d'ali per volare, perché la paura di cadere non è niente se sai che ci saranno sempre le sue braccia ad accoglierti dopo ogni caduta.

Victoria è sempre stata casa mia, perché ogni volta che partivo, poi tornavo da lei.

Insieme Sempre || Damiano e Victoria ||Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora