(Dam's pov)
Giugno 2018
Mi stava piacendo troppo il modo in cui mi guardavi su quel palco. Mi stavi facendo impazzire.
La musica riempiva l'Arena di Verona. La voce del pubblico cantava insieme alla mia. Era la prima volta che ci esibivamo lì. E fu pura magia.
Pochi istanti prima avrei solo voluto mettermi a piangere, ma tu mi hai tranquillizzato, come sempre, e hai continuato a farlo anche una volta saliti sul palco.
Mi sono voltato e tu eri lì, i tuoi occhi erano già su di me. Avrei voluto abbracciarti, con quel volto sorridente che avevi. Morivo dalla voglia di scendere e stringerti fra le braccia. Te lo dovevo, per ringraziarti di avermi salvato di nuovo, per non aver mai smesso di credere in me.
In quel momento, su quel palcoscenico, con Morirò da re, mi sono sentito vivo come non mai.
Hai appoggiato il tuo corpo contro il mio, la tua schiena sulla mia. E quando poi hai fatto quella smorfia con le labbra, non ho capito se eri entrata in modalità Duck Face o se volevi solamente mandarmi un bacio. Nel dubbio, io l'ho ricambiato.
Camminavi avanti e indietro, indietro e avanti, saltellavi ovunque, ma il tuo sguardo rimaneva lo stesso. E per me era come se non esistessero altri occhi all'infuori dei tuoi.
Quanto ancora mi ci sarebbe voluto per capire che ti amavo un po' di più ogni volta che ti guardavo negli occhi?
***
Sdraiato sul letto, nella mia camera d'albergo, non riuscivo a dormire.
Era finito tutto troppo in fretta. Non avevamo neanche avuto il tempo di realizzare di aver suonato all'Arena di Verona, davanti a migliaia di persone, e vinto tanti bei premi, che era già ora di tornare dietro le quinte, salire sul van e tornare in hotel.
Avevo un buco nello stomaco, come se mi mancasse qualcosa. E l'unica persona in grado di rimediare eri tu.
D: Facciamo due passi?
V: Dammi 10 minuti
D: Ti aspetto giù.
Dovresti vedermi quando mi arrivavano i tuoi messaggi. Mi succede tuttora: mi metto a sorridere come un idiota.
Ripensandoci, sarebbe meglio che non mi vedessi mentre sembro una dodicenne innamorata che esulta all'arrivo di un messaggino.
Ogni volta che le cose erano difficili, ogni volta che avevo bisogno di condividere le mie emozioni, ogni volta che dovevo assolutamente parlare con qualcuno o sarei diventato matto, ogni volta che odiavo il mondo e anche me stesso, io sceglievo te per riaggiustarmi. E ti aspettavo con una sigaretta in mano, poi due e poi tre, perché i tuoi non erano mai dieci minuti. Ma io ti aspettavo comunque, perché ne è sempre la pena.
Ed eccoti, finalmente, che uscivi dalla porta dell'albergo. Un top zebrato, pantaloncini, ovviamente le calze a rete, stivaletti e un cappello, probabilmente perché avevi perso troppo tempo a scegliere i vestiti e non ne avevi avuto abbastanza per sistemarti i capelli come avresti voluto.
Certe volte penso che dovresti guardarti con i miei occhi, per vedere ciò che io vedo di te, perché a parole sei inspiegabile, e perché poi non capiresti comunque.
Ogni volta che ti vedo, io mi sento completo. Vorrei farti sentire le mie emozioni, farti capire quanto sto bene non appena sei sotto al mio sguardo.
«Ciao!», mi hai salutato, correndo ad abbracciarmi con la solita faccina da bimba spensierata.
In quei piccoli gesti, mi facevi sentire importante, ed io importante in quel modo che solo tu riuscivi a farmi provare, non lo ero mai stato per nessuno.
Ti strinsi un braccio intorno al collo e ti avvicinai a me. Ti rubai il cappello per poi lasciarti un bacio in fronte.
Quel giorno mi aveva ricordato tanto la notte in cui avevo deciso di riaccompagnarti a casa, quando ci sarebbero voluti circa sessanta minuti e invece eravamo arrivati a destinazione dopo l'alba. Tu che mi osservavi di nascosto, io che ti guardavo senza preoccuparmi troppo di essere scoperto.
Ti avevo prestato la mia giacca, era davvero freddo, ma non potevo dirtelo, o non l'avresti accettata. Mi ero preso un bel raffreddore per colpa tua, ma ne era valsa la pena.
Ti avevo vista annusare il mio profumo attraverso il tessuto, mentre avrei voluto fartelo assaporare direttamente dal mio collo.
Ti lamentavi in continuazione di essere stanca, di aver camminato troppo. Lo facevi sempre, e lo hai fatto anche quella notte a Verona. Così, ho acconsentito per fermarci a sedere.
Dietro a quel muretto c'era un lampione pieno di lucchetti. Dopotutto, eravamo nella città dell'amore.
Hai preso la borsa ed io mi sono aspettato qualsiasi cosa, tranne quella che mi si presentò davanti.
«Dove l'hai preso?»
«L'ho trovato in autogrill. Ho pensato che ci sarebbe potuto servire qui a Verona.»
Solo tu potevi aver comprato un lucchetto in un autogrill.
«Ho anche preso un pennarello indelebile.»
Il tuo sorriso faceva recuperare la vista. Non quella normale, ma quella dei bambini. Quegli occhietti innocenti che vedono bellissime anche le più piccole cose.
Hai scritto Måneskin in un lato e le nostre iniziali, V. D. E. T., dall'altro, e lo hai agganciato al lampione.
«Ora è per sempre», hai detto soddisfatta.
«Adesso che le nostre iniziali sono su un lucchetto, posso baciarti?»
I tuoi occhi si sono spalancati, e la tua bocca pure.
«Vaffanculo!»
L'avevi detto ridendo, ed io lo presi come un sì.
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Insieme Sempre || Damiano e Victoria ||
Romance«... ma è vero che abbiamo un rapporto molto intimo, siamo più che fratelli, più che amici, più che ogni cosa.» Damiano e Victoria. Victoria e Damiano. Nessuno sa quale verità si cela dietro quell'amicizia dannatamente perfetta. C'è chi ipotizza una...