30. Il primo incontro

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(Vic's pov)

Ottobre 2015

Ricordo come fosse ieri il giorno in cui ti ho conosciuto.

Ovviamente, tutti a scuola sapevano chi era Damiano David. Il bello e dannato, lo sciupafemmine, quello che ha tutte le ragazze ai suoi piedi, ma nessuna è degna di lui.

Ricordo il primo sguardo, ce l'ho impresso nella mente e credo che non lo dimenticherò mai.

Io e Thomas eravamo appena usciti da scuola, quando tu e il tuo amico Leonardo vi siete avvicinati.

«Hai da accendere?»

«No, mi dispiace», ti aveva risposto lui, e tu te ne andasti senza neanche ringraziare o salutare.

Il destino, però, volle farci incontrare di nuovo. Il giorno dopo ti rividi davanti al bar. Eri con un gruppo di ragazzi e passasti proprio di fianco a me. Io ti sorrisi, ma tu non mi degnasti nemmeno di uno sguardo. Probabilmente, neanche ti ricordavi di avermi mai vista.

Le mie amiche mi avevano parlato di te, ripetendo sempre la stessa cantilena: David è solo da lasciar perdere, è sbandato, è un ragazzo difficile. Ma non facevano altro che aumentare sempre di più la mia curiosità. Qualcosa in te mi attraeva tanto. E non intendo fisicamente, e neanche parlo di qualche genere di colpo di fulmine. Semplicemente, avevo voglia di conoscerti, di sapere di più della tua vita, e di saperlo da te personalmente.

Sabato sera andai a ballare con il mio ragazzo e la sua compagnia di amici coglioni. Quello stronzo si era fatto subito beccare a pomiciare con la zoccola di turno, così io decisi di andarmene, per non dovermi mettere a piangere davanti a tutta quella gente.

Casa mia era distante almeno un'ora a piedi, il mio cellulare era morto e non avevo neanche avvisato nessuno che me ne sarei tornata a casa. Avrebbero potuto rapirmi che nessuno se ne sarebbe accorto.

Iniziai a camminare, con ai piedi le scarpe più scomode del mondo, e pregai di non incontrare nessuno squilibrato per strada.

Dall'alto non ascoltarono le mie preghiere. Incontrai un gruppo di ragazzi che facevano avanti e indietro con il motorino, impennando e facendo acrobazie varie. Uno mi si avvicinò, e solo quando tolse il casco lo riconobbi: il tuo amico Leonardo.

«Se hai della benzina da sprecare, riportami a casa», gli avevo detto scherzando.

Per fortuna, era talmente fradicio da non avere capito un tubo di quello che avevo detto, o mi sarebbe toccato tornare a casa con un ubriaco al seguito. Sempre se a casa ci saremmo arrivati.

Prima di proseguire per la mia strada, notai un ragazzo con la sigaretta accesa in mano e un bellissimo cappello in testa che lo faceva sembrare ancora più affascinante di quello che già appariva. Se ne stava in disparte, appoggiato al muro. Ero sicura che si trattasse di Damiano. Ero sicura che fossi tu.

Il dolore ai piedi mi stava uccidendo. Mi fermai giusto due secondi e una macchina mi si fermò accanto.

«Ha bisogno di un passaggio, signorina?»

«Non ha bisogno di niente, pervertito.»

Era la tua voce. Eri tu.

«Grazie.»

«Dai, ti accompagno. Dove abiti?»

«Ma... a piedi?»

«Sempre meglio che girare per Roma da sola a quest'ora.»

Iniziammo la passeggiata, ignari del fatto che quella strada ci avrebbe portati ovunque, tranne che a casa.

Per i primi dieci minuti non aprimmo bocca. Tu sembravi piuttosto tranquillo, ti stavi fumando tutto il pacchetto di sigarette ed io avrei voluto dirti di non farlo, ma mi vergognavo troppo.

Ti guardavo in continuazione, di nascosto. Eri bello quel giorno. Così bello che chiunque avrebbe potuto innamorarsi di te. La tua immagine è ancora viva nei miei sogni, con quel cappello che ti stava divinamente.

«Hai freddo?»

Ero così impegnata ad ammirare la tua bellezza da non rendermi conto di aver preso a tremare come una foglia.

Mi appoggiasti la giacca sulle spalle e, giuro, non scorderò mai quel profumo che mi inebriò la mente come una droga. Assaporai ogni singola molecola d'aria che respiravo, finché quel sapore non fu sovrastato dall'odore di brioches appena sfornate.

Mi prendesti per mano fino a portarmi dentro a quel posto da cui proveniva il buon profumo.

«Due cornetti al cioccolato e due Estathè alla pesca», ordinasti alla cameriera.

Non mi conoscevi ancora, ma già sapevi tutto di me.

Ci sedemmo sul marmo freddo di uno scalino e, tra un morso e l'altro, imparammo un po' a conoscere qualcosa di noi.

Ti piacevano i cappelli ed io amavo seguire la moda che reinventavo a mio piacimento. Gli anelli erano i tuoi accessori preferiti, mentre io adoravo le scarpe. Non ti piaceva studiare, e su questo andavamo d'accordo. Amavi cantare ed io suonavo il basso da qualche anno ormai.

Capii subito che eri quel ragazzo che si incontra una volta sola nella vita, unico, dolce, e allo stesso tempo provocante e sexy da morire.

Avevi un modo di ragionare diverso dal solito, ed io ero sempre più convinta di volerti a far parte della mia vita. Ti avrei voluto come mio amico.

Poi, arrivò inevitabilmente quella domanda.

«Che ci facevi da sola in giro per Roma?»

Ricordo di aver iniziato a piangere per quel coglione, e tu eri lì con me, e mi passasti il pollice sotto agli occhi e mi asciugasti le lacrime.

«Ti meriti di meglio,» mi avevi detto sistemandomi un boccolo dietro all'orecchio.

«Stavo bene con lui...»

«L'amore non deve solo farti stare bene. Ti deve far emozionare. Non accontentarti di uno qualunque solo perché ti trovi bene con lui.»

Se avessi raccontato alle mie amiche di aver preso lezioni d'amore da Damiano David, mi avrebbero presa per pazza e portata al manicomio.

«Come faccio a riconoscere l'amore, allora?»

Mi guardasti male. Ed io risi per la faccia strana che avevi assunto.

Voltasti il viso dall'altra parte e cominciasti a ridere pure tu. E, inaspettatamente, desti una risposta alla mia domanda.

«L'amore ti fa sentire viva, ti fa ridere, ti fa dimenticare dello scorrere del tempo.»

Paradossalmente, non avevo mai riso così tanto, se non con te quella sera. Mi ero sentita viva come non mai. In quella notte fredda, noi eravamo state le uniche stelle del cielo.

Tutto svanì intorno a me, quando mi accarezzasti il viso, ed io per la prima volta sentii il mio cuore aprirsi. Ti guardai e mi sembrò di vedere l'amore riflesso nei tuoi occhi.

Non scorderò mai quella notte passata insieme. Sederci ovunque per il mal di piedi, ma ballare per strada a ritmo delle canzoni che cantavi man mano che ti venivano in mente. E la tua voce era semplicemente divina.

Il tempo? L'avevamo scordato.

La luce dell'alba già rischiarava i tetti e noi due non eravamo stati ancora capaci di raggiungere casa mia, troppo presi a vivere quegli attimi di pura felicità, di gioia e di cazzate.

Brindammo all'amicizia con due bottigliette d'acqua, perché "l'amore fotte", avevi detto. Quando poi, forse, ci stavamo già ricredendo sull'argomento.

«Facciamo un gioco», avevi proposto. «Dammi il tuo numero. Ti scrivo, usciamo insieme. Ci penso io a farti stare bene, non come quel coglione. Però...»

«Però, cosa?»

«Il primo che si innamora perde.»

«Va bene, ci sto!»

Scrissi il mio numero tra i tuoi contatti, sicura di poter vincere.

Non sapevamo ancora di aver entrambi già perso in partenza.

Insieme Sempre || Damiano e Victoria ||Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora