70. Chosen

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(Vic's pov)

Marzo 2016

Casa mia era sempre stata vuota negli ultimi tempi. Mia sorella sempre con le amiche, mio padre fuori per lavoro, e anche io ero sempre in giro, per un motivo o per un altro.

Sembrerà strano, ma da quando avevo conosciuto quel ragazzo avevo iniziato a frequentare di più casa mia.

Passavamo pomeriggi interi sul divano in salotto, o in camera mia sdraiati sul letto, o seduti sul pavimento in terrazza. Solo io, lui, il mio cane che veniva a prendersi qualche coccola, un posacenere per le sue tante sigarette e qualche birra fresca. Non ci era mai servito molto altro.

Mi ricordo perfettamente il primo giorno che lo invitai. Il cielo ero grigio piombo, non prometteva nulla di buono. Tutto era partito con un "ciao" quando gli avevo aperto la porta e due ore dopo, spaparanzati sul letto, eravamo finiti a parlare di una canzone. Parlava di lui. Risaltava qualche particolare sfumatura della sua personalità, quella che gli altri chiamavano arroganza, strafottenza, e che io invece preferivo definire come onestà, schiettezza.

Ce l'aveva in mente, ma non aveva ancora trovato il momento giusto, e la voglia, di buttarla su un foglio di carta. Quel giorno, però, lo costrinsi a farlo.

Io non sono mai stata una di quelle ragazze tranquille che danno consigli davanti ad una tazza di thè. Io ero una chiacchierona di prima categoria, non avevo il tempo per discutere dei problemi degli altri, né avevo la buona volontà di ascoltare le loro storie sempre troppo drammatiche.

Non era cattiveria, proprio non ci riuscivo. Trovarmi in quelle situazioni per me era come essere a scuola mentre la prof spiegava entusiasta un nuovo argomento del programma: all'inizio ci metti tutto l'impegno del mondo per stare a sentire, quando poi, alla fine, ti perdi comunque nella tua testa e cominci a fantasticare su tutt'altro.

Con lui, però, era da sempre stato tutto diverso.

Mi raccontò la sua storia, ed io l'ascoltai attentamente fino all'ultima parola. Voleva fare il cantante. Giuro che se me l'avesse detto qualcun altro sarei scoppiata a ridere, ma con lui no, e non sapevo ancora il perché.

Lo avevo ascoltato mentre parlava di questa sua passione chiedendomi se fossi l'unica a cui avesse mai raccontato del suo sogno nel cassetto, o se fossi una delle tante con cui aveva cercato di far colpo grazie al suo ego megalomane.

Due cose mi colpirono subito di lui, come ho già detto: la sua onestà e la schiettezza con cui sputava sempre la verità in faccia alla gente.

Sì, poteva risultare sfrontato, sfacciato, arrogante. Io, al contrario, amavo la sua determinazione e il suo menefreghismo verso gli ingiusti pregiudizi del mondo.

Col tempo, poi, avrei imparato a conoscerlo sempre meglio e sarei arrivata a capire che dietro a quella facciata da duro si nascondeva anche un cuore paranoico, insicuro, pieno di dubbi e incertezze tipiche di un qualunque altro ragazzo della nostra età. Un'anima fragile.

Giorno dopo giorno, la nostra amicizia cresceva, la sua corazza si assottigliava, le nostre anime cominciavano ad essere indispensabili l'una per l'altra.

Anche io avevo preso a riempirgli la testa con le mie paranoie, e parlavo e parlavo ancora, sapendo per certo che lui sarebbe stato ad ascoltare le mie noie, le mie paure, fino all'esaurimento.

Sembrava non stancarsi mai della mia voce cantilenante, delle mie urla, dei miei pianti isterici, delle parole sconnesse e rassegnate alla realtà di un mondo triste per due sognatori come noi.

Mi aveva parlato dei troppi errori commessi, delle cadute e delle volte in cui, rialzandosi, non aveva trovato nessuno a confortarlo. Sapevo benissimo anch'io come ci si sentiva ad essere soli, ad inciampare in mezzo alla gente e a dover trattenere le lacrime fino ad arrivare casa.

Ora, però, Damiano sapeva dove trovarmi, sapeva di poter sempre contare su di me, in qualsiasi momento. Era il mio migliore amico, per lui avrei fatto qualunque cosa. E finalmente, avevo capito anch'io di non essere più sola, perché, da quel giorno, ogni volta che sbattevo la testa contro un muro più duro, trovavo la sua mano stretta alla mia, pronta a darmi lo slancio per rimettermi in piedi. Quella mano, io non l'avrei mai più mollata.

Ma non avevamo parlato solo di cose brutte. Avevamo parlato di sogni, dei nostri sogni. Per la prima volta avevo raccontato di voler mettere su una band, senza ricevere prese in giro come risposta.

Avevamo parlato di dove avremmo voluto andare, di che cosa avremmo voluto fare, di quello che avevamo già visto e di tutto ciò che ancora c'era da vedere.

Amavo trascorrere pomeriggi interi a parlare con lui. Io, che non riuscivo a stare ferma per più di due minuti consecutivi, me ne stavo ore ed ore sul letto, muovendo solo la lingua ed ascoltando la sua voce.

Credevo di non poter più vivere senza il suono rassicurante della sua voce. Invece, imparammo anche a parlare attraverso i nostri silenzi, a capirci con uno sguardo, a sognare la stessa cosa con due menti diverse.

Forse, potrei resistere un giorno intero senza la sua voce, ma non senza la luce dei suoi occhi.

Insieme Sempre || Damiano e Victoria ||Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora