27. Torna a casa

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(Dam's pov)

Febbraio 2019

I lampioni della strada si riflettevano sui vetri delle finestre, illuminando la stanza e anche il suo corpo nudo attorcigliato alle lenzuola.

Non riuscivo a dormire. Il tour, la bellezza delle città mai viste prima, gente nuova. E poi lei, la mia musa, quella ragazza fin troppo donna nei momenti difficili e bambina in quelli spensierati. Il mio mal di testa e mal di stomaco, il mio sorriso, il mio guaio, il mio dolore, la mia felicità, il mio amore.

Troppe cose mi riempivano i pensieri, e le mani tremavano dalla voglia che aveva la mia anima di esprimersi come meglio sapeva fare.

Così, afferrato il mio quadernino, mi ero seduto sulla poltrona e avevo iniziato a viaggiare con la mente.

Da sempre mi soffermavo a guardare ciò che mi piaceva, che fosse un paesaggio, un quadro, un bambino che rincorre il pallone o un angioletto biondo che dorme nel mio letto. I capelli scompigliati, il mascara sbavato sotto agli occhi, la guancia rigata dal segno del cuscino. Sempre bellissima, una perfetta opera d'arte. Che poi l'arte non deve essere bella, ma deve farti provare qualcosa. E lei mi faceva provare ogni giorno qualcosa di nuovo.

La portavo con me mentre viaggiavo con la mente, seguendo l'ispirazione. Victoria era la persona che mi conosceva meglio in questo mondo. Forse lei era l'unica ragazza a cui avevo dato il biglietto per salire sulla giostra della mia vita. L'unica che sapeva farmi ridere per davvero, facendomi dimenticare, almeno per il momento, i mille pensieri e le infinite paranoie. Quel posto in cui andavo, portandola con me, io la chiamavo "l'Altra Dimensione". Un luogo dove ognuno poteva sentirsi libero di esprimere sé stesso al cento per cento, senza freni e senza filtri, proprio come mi aveva insegnato lei.

Un déjà-vu si fece spazio nella mia mente: ero a casa mia, stavo fumando una sigaretta nel balcone della mia camera, mentre Victoria si era impossessata del mio letto per dormire. Le avevo parlato dei miei problemi, perché sapeva sempre come aiutarmi, e anche lei mi aveva parlato dei suoi. Non era stato un periodo facile per entrambi, ma aiutandoci a vicenda sembrava tutto meno brutto e più leggero. L'avevo cullata tra le mie braccia finché i suoi occhi non si erano chiusi, appesantiti dal sonno.

Ricordavo ancora la voglia che avevamo avuto di provare quelle sensazioni che a quel tempo ci facevano ancora troppa paura, di oltrepassare il limite di quell'amicizia che il mondo ci aveva imposto senza prima consultarci.

Entrambi eravamo consapevoli di commettere un errore, che una volta oltrepassato il confine non saremmo più stati capaci di tornare indietro.

Era del tutto sbagliato quello che stavamo facendo in quel susseguirsi di camere d'albergo, tutte diverse, ma tutte palcoscenico dello stesso spettacolo.

Avevo provato a smettere, ad allontanare quella insana voglia di lei. Ma una vita senza peccati non è detto che sia una vita perfetta. La vita senza lei non poteva essere perfetta.

Insieme, abbiamo imparato che gli sbagli e gli errori commessi non vanno negati, ma semplicemente vissuti, perché sono una parte fondamentale della nostra vita.

Sbagliare significa andare oltre, rompere i limiti, arrivare dove l'occhio umano s'interrompe. Ed i sentieri segnati come "pericolosi" arrivano comunque alla vetta della montagna, proprio come tutti gli altri.

È una follia provare a vivere la propria vita senza commettere errori. Perché la vita, quella vera, passa inevitabilmente attraverso il peccato, o saremmo privati del più prezioso divertimento.

Eppure, una volta commesso il peccato ci si ritrova in bilico: essere vittima o essere giudice? Giudicare il peccato o perdonarlo?

Ognuno di noi dovrebbe imparare a convivere con i propri peccati, perché se siamo quelli che siamo oggi, è soprattutto grazie agli sbagli commessi.

Intanto avevo già riempito pagine con pensieri e parole, quelle che poi sarebbero diventate il testo di una canzone molto importante per noi.

Ritornai alla realtà quando Vic si rigirò tra le lenzuola, intenta a trovare un'altra posizione per continuare a dormire beata.

L'avrei disegnata se avessi saputo disegnare, ma non ero bravo con la matita, mentre con la penna me la cavavo decisamente meglio. Le ho dedicato tante canzoni e non gliel'ho mai detto, ma sono sicuro che in fondo lei lo sappia.

Mi alzai dalla poltrona, e prima di andare a sdraiarmi al suo fianco, posai il quadernino sul comodino, sul quale notai una foto, una nostra foto, quella che Vic portava sempre con sé in valigia.

Non scorderò mai il giorno in cui l'avevamo scattata, in mezzo a quello schifo di scuola. Lei era l'unico momento di sollievo tra una lezione e l'altra.

In quel periodo eravamo entrambi fidanzati e non potevamo di certo immaginare che cosa saremmo diventati. In quegli anni di scuola nulla sembra poter durare per sempre, nulla sembra andare per il verso giusto e non funziona mai niente.

Io e lei, però, non pensavamo al futuro. Ci bastava vivere quel presente fatto della mia e della sua amicizia, e di quella di altri due ragazzini. Un presente composto da quattro pischelli, di ore passate a suonare in garage o in camera da letto, di pomeriggi in Via del Corso, di serate nei locali di Trastevere.

Alla fine, volevamo solo stare insieme, fottercene degli altri e stare bene.

Abbiamo sempre camminato per la stessa strada, sotto le stesse stelle. Non abbiamo mai potuto essere una di quelle coppiette al parco che si tengono per mano. Eppure, eccoci qui: lei, nuda sul mio letto, ed io che le dedico le mie canzoni.

Insieme Sempre || Damiano e Victoria ||Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora