13.

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Ero stanco delle sue insinuazioni. Stanco di essere trattato come uno che non valeva nulla. Non sapeva cosa c'era dietro. Da quando erano morti i miei genitori, mi sentivo una nullità, avevo 17 anni mi stavano accompagnando alla baita delle vacanze invernali con i miei amici. Poi tutto è cambiato. Alla baita non ci sono mai arrivato. La strada era scivolosa. Mio padre dopo una curva ha perso la macchina. Non l'ha più controllata e siamo finiti in un burrone. Loro sono morti sul colpo. Io sono l'unico sopravvissuto. Quella pomeriggio Sara era dalla nonna. Sono arrivato in ospedale in codice rosso. Ho vissuto una settimana in coma. L'unica cosa che mi sono sentito dire al risveglio era che i miei genitori non c'erano più. Mia sorella mi urlava contro che era colpa mia. Che non dovevo neanche esistere. Se non fosse stato per quella maledetta baita, loro sarebbero stati con noi.
Ho passato i momenti più brutti. Fino al ventuno anni quando sono entrato a lavorare in una casa. Ero il muratore di fiducia del signor Fabrizio. Le cose andavano bene finché poi non mi sono innamorato della figlia Monica.
Li sono nati i problemi che ad oggi mi porto dietro.
Prendo la giacca, la infilo, metto il telefono nella tasca e cerco le chiavi della macchina nell'altra. Ero abbastanza nervoso. Non potevo continuare così.
“Simone” la voce di Emma è alle mie spalle. Mi volto con tutto il corpo non solo con il viso. “ dove stai andando? ”
“a casa”
“ come a casa oggi non lavori?”
“ non mi va di lavorare. ” gli rispondo. Mi aveva ferito poco fa con le sue parole. Voleva pure che restassi lì a lavorare. Per cosa? Per essere trattato ancora una merda come poco fa?
“ come? Sei appena arrivato è te ne stai già andando!”
“ non ho voglia di restare con te sua dentro. ” gli rispondo ancora duro. Anna era ancora qui ma stava ferma sulla porta del magazzino per non interromperci.
“ io non so cosa ti ho fatto ma da quando ho messo piede qua dentro che non fai altro che darmi contro. Sembra davvero che non aspetti altro che licenziarmi. Te lo detto prima fallo pure. Tanto la vita è una merda. A prescindere che tu mi faccia lavorare o no” sentivo gli occhi pizzicare. Non ero solito a piangere. Anzi non mi piaceva nemmeno farlo. Ma stavo diventando vulnerabile e instabile. Tutto era contro di me.
“ non ti voglio licenziare. Il tuo lavoro lo fai bene”
“ è allora lasciami andare a casa. ”
“ perché dovrei farlo? Mi avevi detto che saresti venuto tardi...”
“Emma ti prego! Non ho voglia di discutere. Mi dispiace per tutto ciò che sta succedendo. Mi dispiace di averti baciata. Mi dispiace anche di averti fatto prendere la pioggia oggi. Ma ci sono cose che non posso rimandare. ” le dico. Esco fuori è c'è il diluvio. Mannaggia ho dimenticato l'ombrello dentro la macchina è l'ho pure parcheggiata lontano.

“ Simone non puoi andare via!” la sento dietro di me di nuovo. Ma cosa voleva? Mi trattava male. Non credeva a quello che le dicevo e poi mi veniva dietro.
“ perché non posso?  Ti sto chiedendo solamente un giorno.. non riesco a lavorare così. ”
“ perché Anna anche lei ha un giorno libero. Siete in due. Io non posso stare a fare tutto”
“ non ci posso fare niente. Davvero perdonami ma oggi è una giornata no. ” il telefono squilla. Lo guardo. È Monica. Che cazzo vorrà adesso? Non le bastava avermi visto anche stamattina?
“Simone” mi chiama di nuovo “ resta ti prego” siamo sotto la pioggia. Ci stiamo bagnando.
“ Emma..” sto per parlare quando si avvicina.
“ prometto che non ti darò fastidio. Fai il tuo lavoro. Torni a casa e riposi” mi guarda con due pozze azzurre che mi lasciano senza fiato. Sento il profumo, quello che piaceva a me, alla fine lo aveva cambiato.
“ io...”
“ starò nel mio. ” sbuffo non volevo dargliela vinta. Ma mi risultava difficile. Eravamo fradici. Ci saremo presi qualcosa sicuramente.
“ d'accordo. Anzi...” mi guarda “ perché non chiudi per un giorno?”
“sei folle?”
“ Emma è sabato. Non verrà quasi nessuno. Al massimo puoi mettere un cartello chiuso per imprevisto. Guarda come diluvia in più sono ormai le undici e mezza. Non hai ancora aperto” le indico il cartello fuori dalla porta chiuso. I suoi occhi si spostano velocemente dalla porta di nuovo a me.
“ mi hai convinto” sbarrò gli occhi sorpreso di cio che aveva detto. “ a patto che tu venga a casa mia per pranzo”
“ hai battuto la testa?” le chiedo scioccato. Non credevo in realtà alle mie orecchie.
“ no. In realtà hai ragione mi sono comportata male poco fa. Non ho il diritto di darti contro in quel modo soprattutto non sapendo nulla della tua vita. Quindi?” la guardo sorridendo. Le sposto tutte quelle ciocche bagnate sul viso. Restiamo fermi ancora due minuti.
“ va bene. Però passo prima a casa mia per farmi una doccia calda. Rischiamo una polmonite.” annuisce. Mi bacia una guancia è va dentro. Scuoto la testa.
Non sapevo più cosa dire. Ero veramente sorpreso da tutto ciò che era successo. Al tribunale era andato tutto a puttane senza trovare una minima conclusione. Lei che mi dava contro e poi depone le armi.
“ centrate voi per caso? ” chiedo con gli occhi al cielo e la pioggia che mi bagna ancora più forte. Credevo troppo che da su mi potessero sentire. Speravo tanto che mi aiutassero a vivere al meglio la mia vita.

𝐼𝑙 𝑝𝑟𝑜𝑓𝑢𝑚𝑜 𝑑'𝑎𝑚𝑜𝑟𝑒 ❤️Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora