Capitolo 14

261 16 3
                                    

Jason

Il silenzio cala tra di noi mentre si ricompone.

Non è imbarazzante, ormai ci sono abituato a questa scena, ma l'effetto che mi fa è ugualmente strano.

Per la prima volta nella mia vita posso dire di aver dormito con una ragazza.

«A cosa pensi?», la sua voce richiama la mia attenzione.

Sposto lo sguardo su di lei e serio dico: «Sicuramente a nulla che riguardi te».

Lei alza gli occhi al cielo e finisce di infilarsi l'ultima scarpa.

«Sapevo che la tua simpatia sarebbe svanita» commenta.

La mia simpatia?
Quando mai sono stato simpatico con lei?

«Non sono mai stato gentile con te, non farti strane idee Melanie» le ricordo.

«Eri diverso ieri sera, non sarai stato gentile ma di sicuro non stronzo come stamani» ribatte.

I suoi occhi puntati sui miei mi mettono in soggezione.

Lentamente mi alzo dal letto e quando tendo una mano verso di lei per afferrare una ciocca di capelli, la sento agitarsi.

«Non dovresti essere qui, lo sai vero?».

Non smette di fissarmi.

«Io non dovrei essere qui tanto quanto tu non dovresti essere a questa distanza da me» replica e il suo sguardo si fa sempre più intenso.

«Ti da fastidio?», faccio un'altro passo in avanti e tra le nostre labbra ci sono all'incirca 10 centimetri di distanza. Pochissima e pericolosissima.

Non risponde e a quel punto dico: «Faresti bene a starmi lontana».

«Ti conosco da quando sono nata, i nostri genitori sono amici di vecchia data. Anche se volessi non ci riuscirei» rivela.

«Sei sicura che sia questo l'unico motivo?», mi avvicino ancora di più e giurerei di sentire il suo cuore battere all'impazzata.

«Che stai facendo?».

«Hai paura?».

«No», ingoia la saliva e schiude le labbra.

Jason fermati.

«Sai... Forse non te l'ho detto prima, o almeno non ricordo, ma grazie per ieri sera. È stato carino da parte tua costringermi ad entrare», mi allontano talmente bruscamente da lei che si impaurisce.

«Oh beh... Di nulla».

Annuisco e vado a prendere dall'armadio una maglietta e dei boxer puliti.

«Vi ho sentiti..» le sento dire.

Mi giro lentamente e la guardo confuso.

«Tu e tua madre» precisa.

«Beh?» la incalzo.

«Credo che lei abbia ragione. Devi festeggiarlo Jason... Solo perché tuo padre non c'è più ciò non significa che...», la interrompo lasciando cadere a terra gli indumenti e avanzando verso di lei.

La prendo per un polso e la avvicino a me.

«Stammi bene a sentire, questa è la mia vita e nessuno, ripeto nessuno, può dirmi quale sarebbe la strada giusta da percorrere. Odio il giorno del mio compleanno da sempre, ma tu questo non lo sai. Tu e tutti voi altri dovete smetterla di pensare che mio padre sia la causa di quello che faccio o non faccio perché non è affatto così cazzo. Oggi me ne starò a casa, dormirò e guai a chi mi giudica perché finisce male. Perciò io ti avverto, di un'altra volta, solo una, il nome di mio padre e giuro che per te ce ne saranno di tutti i colori» ringhio e lei strizza gli occhi per la pressione della stretta.

«Hai capito?» le urlo all'orecchio.

«Sì ho capito» dice ed io la lascio.

«E adesso vattene, voglio stare solo», mi giro di spalle ma sentendola ancora dietro di me ripeto la stessa cosa.

«Ti ho detto vattene».

«Credevo che l'inghilterra ti facesse bene, ma invece» commenta amaramente.

«Non c'è speranza per uno come me Melanie, non ci sarà mai perciò mettitelo in quella cazzo di testa che ti ritrovi e arrenditi», stringo i pugni lungo i fianchi e lei, prima di andarsene, dice: «Non riuscirai a farti odiare anche da me».

One night more Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora