Capitolo 28

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Jason

- Meno 6 giorni dalla partenza.
Lunedì.

«Sei sicura di volertene andare tesoro?» chiede mia madre a Melanie.

«Ma sì certo, ho disturbato già fin troppo».

«Tu qui non disturbi mai, puoi venire tutte le volte che vuoi. Già lo sai», le accarezza una guancia e le lascia un bacio sulla fronte.

«Grazie mille Leila».

«Di nulla», la donna che mi ha messa al mondo le sorride e poi guarda me.

«Non la porti a lavoro?» domanda mia madre.

«Oggi non hanno bisogno di me, per fortuna ho la giornata libera» risponde lei al posto mio.

«Beh è uguale», torna a guardare me e poi dice: «Puoi accompagnarla ugualmente no?».

«So arrivare a casa mia a piedi Leila tranquilla» si sbriga a dire.

Qualcosa mi fa capire che sta cercando in tutti i modi di sviarmi.

«Sì mamma, la accompagno io» replico scandendo bene le parole.

«Non è necessario» aggiunge lei sulla porta.

«Sì che lo è, muoviti» ribatto sorpassandola e uscendo da casa.

Quelle due si salutano di nuovo e quando mia madre chiude la porta, percepisco i passi di Melanie dietro di me.

«Non entro nella tua macchina» confessa.

«Se non vuoi entrarci fa pure, ma ti accompagnerò fino a casa a piedi», mi fermo e mi giro per guardarla.

Lei fa lo stesso e posa lo sguardo su di me.

Chissà che cosa le balena in quel cervello.

«Ieri sera avevo bevuto, perciò dimenticati di quel momento vulnerabile che ho avuto a casa tua» ribatte seria.

«Adesso è così che funziona? Vieni a casa mia, ti servi di me fin quando ti faccio comodo e dopo mi scarichi», la mia voce è talmente roca che quasi mi fa male la gola mentre parlo.

È mattina anche per me!

«Credi di essere l'unico in grado di approfittarti degli altri? Se è davvero così ti sbagli di grosso. È stato divertente ubriacarmi e trascinarti fin lì sai» commenta ridacchiando.

«E lo scopo era?» domando alzando un sopracciglio.

«Costringerti a baciarmi» risponde.

Incrocio le braccia al petto e stringo forte un braccio per evitare di spaventarla tirando un calcio a qualcosa.

«Io ero ubriaca ieri sera e ti ho lasciato fare, ma tu no. Eri sobrio caro mio e mi hai baciata tu per prima questa volta» mi rinfaccia con un ghigno in faccia.

«Sei davvero caduta così in basso?».

«Sì e adesso siamo 1 a 1».

«Ora dimmi un po', che ci hai guadagnato? Non so... Ti sei divertita? Ti senti orgogliosa adesso?» chiedo.

«Orgogliosa no, divertita sì. Non vado fiera di aver baciato uno come te, ma posso gioire del fatto che sia successo una volta sola» rivela.

«Due» la correggo.

«A causa tua però. Sei stato tu a baciarmi ieri sera, non io perciò a causa mia è successo solo una volta» ripete di nuovo.

Odio quando cerca di fare la saputella.

«Non hai risposto alla mia domanda però» le faccio notare.

«Ci ho guadagnato la mia libertà» confessa.

Alzo un sopracciglio e ripeto: «La tua libertà?».

«Sì, la mia libertà».

«Da oggi basta giochetti, siamo grandi Jason e abbastanza maturi per evitare di perderci in queste cavolate» aggiunge.

«Cosa ti fa capire che ti lascerò stare? Tu hai ancora da scontare ciò che dicesti su mio padre, ricordi?».

«Ancora con questa storia? Non dissi nulla di male».

«Tu, che non sei nessuno, non ti saresti mai dovuta permettere di dirmi una cosa del genere. Io sono sempre stato così e non sono cazzi tuoi di come ho reagito dopo la morte di mio padre», faccio un passo in avanti ma lei non arretra.

«Più passa il tempo più mi convinco che tu abbia bisogno di cure» commenta iniziando ad agitarsi.

«Solo io?» la provoco.

«Sei tu quello che si avvicina sempre e poi mi ignora. Finiamo sempre insieme io e te per poi ignorarci nei giorni tra settimana. Il nostro rapporto sembra che viva solo ed esclusivamente il fine settimana, cioè quando in pratica qui in città c'è qualcosa da fare. Gli altri giorni sembriamo due sconosciuti» mi rinfaccia.

«A Las Vegas ti divertirai tutte le sere vedrai, non avrai questo tipo di problema» la rassicuro.

«Non è questo il punto», si interrompe per poi iniziare di nuovo a parlare.

«Qui si tratta di me. Di una me che sta bene senza di te».

«Se stai bene senza di me allora non cercarmi più cazzo. Non chiamarmi e non venire più a casa mia, no?». Sono talmente nervoso che l'adrenalina mi sale al cervello.

«È quello che farò. Quello che volevo l'ho avuto, ti ho incastrato e adesso siamo pari. Il mio divertimento è finito seduta stante», mi guarda dalla testa ai piedi e sorride.

«Fai buon viaggio», mi fa l'occhiolino e se ne va.

Stronza.

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