Capitolo 43

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Jason

Dopo aver fatto una bella cena, mi corico in camera e vago sul cellulare.

I ragazzi sono usciti fuori già da molto. Credevano di tornare a casa prima ancora del mio arrivo, ma è evidentemente che non ce l'hanno fatta.

Per loro ogni sera è divertimento, ma come biasimarli! Siamo a Las Vegas.

Mentre scorro sulla galleria ritrovo una foto di me e mio padre.

Stringo forte un pugno e lancio il telefono fino ai piedi del letto.

Mi alzo in piedi ed inizio a spogliarmi fino a rimanere in boxer.

Il cellulare torna a squillare dopo tanto tempo e deducendo che sia mia madre, mi affretto a rispondere.

A stupirmi è Melanie, che con il suo numero mi strappa un piccolo sorriso.

Subito mi ricompongo e rispondo.

«Pronto».

«Ti disturbo?» chiede seria.

«No, ma non è tardi lì da te?».

«Sì, solo che non riesco a dormire», la sua voce è pacata e lo è pure la mia ora che la sento.

«È successo qualcosa?» domando dubbioso mentre mi sdraio nuovamente sul letto.

«Nulla di nuovo» risponde.

«Sicura?» insisto.

«Sì» ripete.

«Com'è andata a lavoro in questi giorni?» chiedo cambiando argomento.

È strano che mi abbia chiamato così dal nulla ma se è convinta di non avere nulla, allora beh... Le credo.

«Bene». Le sue risposte sono secche e fredde.

Perché mi ha chiamato se deve darmi risposte brevi?

«Perché mi hai chiamato Melanie?».

«Ci deve essere un motivo?».

«Con te c'è sempre un motivo e poi, se bisogna stare a dirla tutta, ti ricordo che domenica non ti sei nemmeno presentata davanti casa mia. Credevo che tu ti fossi pentita e magari questa telefonata era dovuta proprio a questo» spiego.

«A cosa scusami?».

«Sarebbe carino da parte tua scusarti con me, non che me ne importi qualcosa Melanie però non è stato affatto carino il tuo comportamento» ammetto.

«Con chi mi dovrei scusare? Con una persona che dopo avermi portata a letto non si è degnato nemmeno di dirmi qualcosa?» chiede acida.

«Entrambi ci siamo evitati, la colpa non è solo
mia. E poi scusami... Che pretendevi che ti dicessi? È stata una scopata come le altre, nulla di più» confesso.

«Proprio per questo te lo dico, era meglio chiarirsi subito. Per me quella notte non è significata nulla, come per te immagino...» inizia a dire aspettando una mia conferma.

«Esatto» affermo.

«Bene e il motivo della mia chiamata è solo uno. Voglio solo accertarmi di non finire su quella lista».

È il terrore per lei quella lista.

«Per il momento non ci finirai» la rassicuro.

Riesco a percepire il suo cambio di respirazione quasi nell'immediato.

«Che vuoi dire?».

«Voglio dire che azzardati a fare o a dire qualcosa di stupido e ci finirai pure tu» la avverto.

«Non ti azzardare a...», la interrompo e dico: «Ah ah ah, non ti azzardare a darmi ordini bambola».

«Non chiamarmi con quel nome, sai che lo odio».

«È per questo che da oggi in poi ti ci chiamerò», sul mio viso si forma un ghigno divertito.

«Ti detesto» dichiara.

«A sentire dall'intensità con cui sei venuta per ben due volte sabato sera ne dubito fortemente, ma fingerò di crederti» ribatto.

«Vuoi tormentarmi anche da lontano? Che ne è stato dello spazio che dovevamo prenderci l'un l'altro e della distanza che ci sarebbe stata. Dovevamo finirla con le sciocchezze Jason» mi rinfaccia.

«Ehi, sei tu che mi hai chiamato. Io ne facevo anche a meno credimi» replico serio.

«Fottiti stronzo» ringhia rabbiosa e mi riattacca in faccia.

Sospiro e alzo gli occhi al cielo.
Sarà santo l'uomo che un giorno la prenderà, se la prenderà. Già lo so.

One night more Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora