Capitolo 18

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Jason

«Jason ciao». Alle mie spalle appare la madre di Melanie e per salutarla mi piego in avanti, abbassandomi e dandole poi un bacio sulla guancia.

«Salve Charlotte» replico.

«Grazie di essere venuto» dice sorridente.

«È un piacere» dico sinceramente.

Adoro questa donna. È così solare nonostante tutto quello che ha passato, che sta passando e che dovrà passare in futuro. Lei lo sa già, ma non lo fa pesare a nessuno il suo problema.

«Melanie dov'è?» domanda.

«È proprio qu...», non faccio nemmeno in tempo a girarmi che non la vedo più.

Ma come.. Fino a 30 secondi fa era proprio qui.

«Era qui fino a poco fa, ti dispiace se vado a cercarla?» domando.

«No no, ma certo. Vai pure» risponde tranquilla.

«Mi scusi» dico e mi incammino a passo svelto verso la porta di ingresso.

Ha bevuto molto stasera, non so nemmeno se reggerà tutto quanto una volta arrivata a casa.

Esco nell'aria fredda e quando svolto l'angolo la trovo a parlare con un gatto.

Ha in mano un'altro bicchiere. Lo sapevo.

«Melanie che stai facendo?» le chiedo a pochi passi da lei.

Quando si gira, alza gli occhi al cielo e il gatto scappa.

«Ecco hai visto? Sei un guastafeste. Mi hai fatto scappare un nuovo amico» confessa cercando di spintonarmi all'indietro.

«Wow senti qua che muscoli», inizia a toccare il mio petto muscoloso e prima che continui le blocco le mani.

«Hai bevuto abbastanza per stasera» le faccio notare togliendole il bicchiere tra le mani.

«Un'ultimo sorso».

«No».

«Ti prego, solo uno» insiste cercando di afferrarlo.

«Melanie, ho detto di no» ripeto allontanandola.

Lei sbuffa e inizia a camminare.

Aspetto qualche secondo lì, fermo e immobile, pensando a cosa fare.

Pochi istanti dopo so già la risposta.

«Vieni ti porto a casa», la afferro da dietro e mi sbrigo a chiamare un taxi.

«Jason non è necessario, aspettiamo tua madre», cerca di attirare la mia attenzione toccandomi di nuovo il petto ma io ormai sto già parlando al telefono con il tassista.

«Stai zitta, tra 10 minuti arriva» confesso riposando il telefono in tasca.

«Mi dispiace» dice dopo qualche secondo di silenzio.

Mi volto verso di lei e la guardo.

Si sta mantenendo sui miei fianchi e i suoi occhi sono fissi sui miei.

«Per cosa?».

«Per lo schiaffo, per averti provocato e per averti in un certo senso rovinato la serata» rivela.

«Non me l'hai rovinata» dichiaro.

È vero non l'ha fatto. Mi sta facendo un favore.

Prima che continui a dire scemenze, scrivo a mia madre un messaggio e le comunico che, a causa della nostra stanchezza, sia io che Melanie siamo tornati a casa. Inoltre le scrivo che, non essendosi portata dietro le chiavi, dormirà da me e infine riposiziono il telefono dov'era.

«Posso farti una domanda?» chiede.

Annuisco.

«Perché mi odi?» domanda avvicinandosi.

Non la odio, sono odiosi alcuni suoi atteggiamenti, ma non la odio. La persona che odio è solo 1 e di certo non è lei.

Ma decido ugualmente di non dirglielo.

«Sei una piccola ficcanaso, pronta a dire la tua anche quando non è richiesta. Ti intrometti in situazione che nemmeno ti riguardano e sei appiccicosa» rivelo.

«Ti bastano come ragioni?» chiedo.

Lei si allontana e ci rimane male.

«Non credevo di essere tutte queste cose» ammette.

«Sei anche simpatica delle volte» dico serio e a lei gli ci scappa un sorriso.

«Ma pochissime» mi correggo.

«Tipo quando mi ignori» aggiungo e istintivamente mi tira una manata sulla spalla.

Ridacchio e quando vedo arrivare il taxi, la tolgo dalla strada e la avvicino a me.

«Sali» le ordino.

«Grazie» replica dopo averle aperto la portiera.

One night more Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora