Capitolo 25

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Melanie

- Lunedì.

«Mamma allora sei sicura di tornare a casa a piedi?» chiede Jason abbassando il finestrino.

La madre da fuori risponde e dice: «Tesoro il supermercato dista 15 minuti a piedi da casa nostra. Vai tranquillo. Aspetto che apra e poi mi avvio, devo comprare giusto due cose».

«D'accordo. Io porto Melanie a lavoro e poi torno in fabbrica. Ci vediamo stasera» dice salutandola.

«Ciao tesoro, ciao Melanie».

«Ciao Leila», le rivolgo un sorriso innocente e Jason parte.

Stamani ci siamo svegliati alle sei. Mezz'ora dopo eravamo già tutti e tre in macchina, pronti per tornare in città.

La signora Lewis non ha voluto essere accompagnata subito a casa, ma bensì al supermercato.

Adesso Jason mi porterà a lavoro ed io sinceramente non vedo l'ora di scendere da questa macchina.

Detesto stare in spazi piccoli con lui.

Per quanto riguarda ieri sera non ne abbiamo più parlato. Stamani a colazione ci siamo evitati ed io subito dopo averla fatta sono corsa in doccia.
Per fortuna lui l'aveva già fatta stanotte, a causa del caldo o almeno così ci ha raccontato e poi siamo partiti.

«Ecco a te» dice fermando la macchina.

«Grazie del passaggio», mi slaccio la cintura e lui si volta nella mia direzione.

«Di nulla» replica guardando il gesto.

«E per quanto riguarda quello che è successo stanotte sarebbe gradito da parte tua non dirlo a nessuno. Non ne vado fiera e se sapessero che ci siamo baciati... Beh oddio» sgrano gli occhi ma lui non sembra offeso.

«Insomma hai capito. La mia reputazione andrebbe a puttane con amici e parenti, perciò acqua in bocca e ognuno per la propria strada, ok?» chiedo sperando di averlo offeso.

«Credimi, non ci tengo nemmeno io a far sapere quello che è successo» ribatte guardandomi negli occhi.

Duro il ragazzo, ma per fortuna ha le palle di guardarmi in faccia quando parla e questo mi piace. 

«Ottimo» replico sorridente.

Apro la portiera e non la sbatto.
Seppure sia talmente arrabbiata da tirargli una scarpata in testa, cammino e mi atteggio come se nulla fosse successo.

È così in realtà. Non è successo nulla che debba darmi noia dal momento che non me ne frega niente di lui e del suo altissimo ego, ma detesto il modo in cui mi fa sentire. Mi sento un oggetto, una grandissima puttana che casca ai suoi giochetti seducenti.

Appena entro a lavoro saluto il capo, intento ad uscire, e mia sorella.

«Stamani ci sei solo te?» chiedo a lei.

Jo annuisce e senza perdere troppo tempo corro in camerino a cambiarmi.

«Com'è andata la giornata di ieri al lago?» domanda sorridente.

Alzo un sopracciglio e per evitare di mandarla a quel paese conto fino a 5.

«È andata bene» rispondo.

«Ho visto che ti ha accompagnata Jason» replica mentre smette di pulire il bancone del bar.

Si appoggia ad esso e mentre inizio il servizio la guardo male.

«E quindi?».

«Non lo so, dimmelo tu», sorride e cerca di trattenere una risata.

«Tranquilla, l'unica che ci va a letto qui dentro sei tu. Adesso scusami, ma ho da lavorare», giro intorno al bancone e vado a pulire i tavolini fuori.

Lei è l'ultima a potermi dire qualcosa, e girare come mi girano non riesco a sopportare il suo atteggiamento.

One night more Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora