Capitolo 61

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Jason

Dopo una cena alquanto noiosa e lenta, io e Melanie abbiamo deciso di andarcene quasi subito dopo.

Alan e Bethany sono rimasti là dentro a sorseggiare il terzo bicchiere di spumante.

Noi invece adesso stiamo tornando a casa con Uber.

Melanie non mi parla da solo il nostro bacio.
Usa solo monosillabi se proprio la obbligo a dire qualcosa.

Ho provato anche a staccarmi da lei, provando a lasciarla da sola insieme ad Alan e Bethany per vedere se le stimolavano la parola ma niente.

Mentre parlavo con Milton di cose nostre, ogni tanto distoglievo lo sguardo e la vedevo al telefono, isolata dal mondo intero ed estranea a ciò che c'era intorno a lei.

Non posso dire niente, ha ragione. Posso capire i suoi pensieri anche senza saperli.

«Mi dispiace per prima, non volevo dire che non fai parte della mia vita» confesso a bassa voce per non farmi sentire dall'autista.

«Non hai detto una sciocchezza, è la verità. Non appartengo al tuo mondo pieno di bugie e falsità» ribatte guardando fuori dal finestrino.

«Non dire così».

L'autista si ferma e dice: «Ecco a voi signori».

Entrambi lo ringraziamo e prima ancora di scendere pago.

Quando entriamo in casa Melanie si toglie il cappotto e continua ad ignorarmi.

«Non rinchiuderti in te stessa, parlami», la seguo fino in camera e nel mentre si toglie i tacchi.

«Cosa c'è da dire? Credevo che quella borsa fosse un regalo per me e invece ti serviva solo per farmi fare bella figura» ribatte nervosa.

«Ma è tua, è un regalo Melanie. Solo che desideravo che lo vedesse pure lui» confesso.

«Perché?».

«È una domanda a cui non posso risponderti, mi dispiace» replico scuotendo la testa.

«Fottiti», mi tira uno schiaffo e finisce in lacrime.

Ed è qui che capisco di non poterle dire di Los Angeles.

«Riprenditi quella borsa, vendila, regalala, facci quello che vuoi. Io non la voglio. Non ho bisogno dei tuoi soldi per potermi comprare quello che voglio. Ti odio da morire Jason» ringhia inferocita.

«Non è vero e nemmeno tu ci credi».

So che rispondendo così rischierei soltanto di prendermi un altro schiaffo, ma non mi importa.

«Se mi avessi odiato davvero a quest'ora non te la saresti presa nemmeno un po'», mi avvicino a lei e le poso entrambe le mani sui fianchi.

«Vedo che rigiri bene la frittata eh».

Sorrido sulle sue labbra mentre gliele fisso.

«È meglio andare a dormire» inizia a dire agitandosi.

«Già passata l'incazzatura?» domando.

«Sono stanca, non ho voglia di litigare» risponde.

Sapevo che non vedendo una mia reazione si sarebbe calmata. La conosco troppo bene. Lei non è una che ama litigare, quando lo fa è solo perché l'altra persona risponde alle sue azioni.

«Stanca? Davvero?», le sfioro il seno con una mano e il suo viso si irrigidisce.

Schiuse le labbra e mi guarda dritta negli occhi.

«Sì» dichiara.

«Lascia allora che ti tolga il vestito. Girati su», la obbligo a voltarsi e prima ancora di tirare giù la cerniera, si raccoglie i capelli in una mano.

«Ecco fatto, adesso puoi uscire così mi vesto?» chiede innocentemente.

«Non abbiamo fatto proprio niente», glielo sfilo bruscamente di dosso facendolo ricadere a terra, mostrando così il suo splendido corpo formoso.

One night more Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora