(80) LA TELEFONATA

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I ragazzi sono ripartiti. Il silenzio avvolge le mura della mia casa, almeno quando io ed Evelyn ci prendiamo del tempo per riposare dal sistemare le varie cose nelle scatole. Appena finiremo verrà la ditta dei traslochi per poi affrontare il viaggio fino a New York.

Non ci posso ancora credere che sto per lasciare questo posto per sempre. Non farà più parte della mia vita, quella che mi ha visto crescere, soffrire e poi cambiare.

Siamo sedute in cucina io ed Evelyn davanti a questo piatto fumante di ottima pasta che le sue preziose mani hanno preparato.
<Come vi siete conosciuti tu e mio figlio, ma soprattutto come siete finiti insieme... >anche lei esattamente come un po' tutti intorno a noi non hanno ben chiaro come due persone completamente diverse riescano ad incastrarsi così perfettamente.

Inizio il mio racconto da quel pomeriggio afoso, mentre ero seduta sulla sdraio in piscina, racconto della sua strafottenza, arroganza ma allo stesso tempo sensualità. Sono sincera con lei, merita di conoscere il figlio in tutte le sfaccettature, che sono tante, anche troppe.

<Me ne sono innamorata nonostante mi ero imposta di non farlo, nonostante il suo trattarmi male alcune volte. Doveva essere un passatempo estivo, un gioco..., invece ci siamo caduti dentro entrambi. Non lo so Evelyn se abbiamo giocato male le nostre mosse e ci siamo ritrovati in qualcosa che non avevamo previsto, oppure le abbiamo giocate talmente bene da non avere via di scampo, ci siamo fatti scacco matto entrambi, ci siamo messi da soli con le spalle al muro e alla fine abbiamo dovuto solo arrenderci all'evidenza: noi ci apparteniamo, io sono felice con lui e anche lui lo è con me. Mi ha raccontato del vostro abbandono, di come non si dava pace quasi a colpevolizzarsi per essere stato un bambino cattivo, ma adesso ha capito e credimi è felice di averti ritrovato. >

Lei mi ascolta in silenzio, non lo so se perché non ha nulla da dirmi, oppure anche lei come lui non sa da dove e come ricominciare.

<Dagli tempo Evelyn. Anche con me lo faceva all'inizio, sfuggente, distaccato; è il suo modo di fare per non soffrire, ma una volta capito che non c'è pericolo sarà la tua fine... Come hai visto è un vulcano, non ti dà pace, non molla mai... Ma ha tanto amore da donare e, alla fine lo fa, a modo suo, ma lo fa... >

Evelyn sta piangendo così le afferro una mano, mi alzo e l'abbraccio. Non so cosa altro dirle, come tranquillizzarla, non sono tanto brava in queste cose così decido di fare una cosa, forse stupida ma spero che serva a qualcosa...

Afferro il mio cellulare faccio partire la chiamata e metto in viva voce. Neanche Evelyn ci sta capendo nulla. Bene siamo in due allora e tra un po' in tre...

<Ehi piccoletta, stai bene? >, lei sorride quando mi sente chiamare così, mentre io vengo attraversata dai soliti brividi che lui porta insieme ogni volta che lo sento o che lo penso.

<Sì, tutto ok. Parla come si deve sei in vivavoce...>

<Dove stai andando? Non dirmi che sei al volante? Cazzo Sum quante volte devo dirtelo di non guidare mentre parli... >, e niente non mi ascolta mai.

<La finisci di imprecare. Sono a casa con tua madre che ti sta ascoltando... >finalmente sembra aver perso la parola, ma dura un secondo <Oh, scusa non avevo capito. Come stai... Ev... mamma? >piano tesoro mio, ce la farai.

Ma è Evelyn che ancora una volta scoppia a piangere perché non è abituata a sentirsi chiamare così, o forse non riesce ancora a credere di potersi risentire chiamare in questo modo.

<Sto bene figliolo... >dice tremante... <Beh, dal tuo tono direi che mi stai mentendo... Sum che cazzo sta succedendo? Devo venire lì? C'è qualche problema? >, la mia mano ancora una volta a causa sua schiaffeggia la mia fronte < Sei stupido? È emozionata... Ma com'è che non capisci... Voi due avete bisogno di passare del tempo insieme. E tu Ade ti devi impegnare di più. Capito? >, schiaccio l'occhiolino a lei che mi sorride.

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