FINZIONE O REALTÀ

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Finalmente il giorno della parata è arrivato. Sono in trepidazione, finalmente lo rivedo. Da quel giro insieme poi non ci siamo più potuti incontrare. Mio padre ha organizzato una domenica in famiglia. Praticamente ci ha sequestrati per tutto il giorno. Abbiamo pranzato in un ristorante non molto elegante, ma bellissimo. Poi in giro a mangiare schifezze con la mamma che si lamentava che avremmo finito col sentirci male. Invece siamo finiti col ritrovarci seduti in pizzeria, con me che inizio a bere birra accompagnata da John e mio padre che si è gustato la pizza e la sua famiglia.

Non mi ricordo granché di quella sera. So soltanto che il giorno dopo, John mi ha raccontato che ho dato il mio numero di cellulare al cameriere della pizzeria con tanto di occhiolino strizzato prima di uscire, e cadere in un sonno profondo in macchina.

Il mio adorato fratello non manca dal farmi notare una cosa che secondo me è solo di sua immaginazione

<Cara sorella, aspetta che Ade lo venga a sapere e vedrai come reagirà!> quanto si sbaglia. Io e lui possiamo sembrare tutto ma non siamo niente.

<Fratellone, non ne avrebbe motivo. Sei lontano anni luce dalla verità!> lui che è appoggiato alla scrivania della mia camera, si muove venendo verso di me che sono seduta sul bordo del mio letto dove mi allaccio le mie adorate scarpe comode da ginnastica. Con uno slancio da fare invidia ad un atleta professionista, me lo ritrovo affianco

<Sorellina, devi ancora imparare a conoscerlo. Io ho visto come vi guardate, come vi cercate, se solo tu non fossi impegnata lui sarebbe già tuo! Perché devi ammetterlo, lui ti piace! E fidati, caso strano, la cosa è ricambiata!> resto senza parole. Osservo la figura di John che fischiettando esce dalla mia camera, per poi girarsi e dirmi

<Oggi ti darò la prova di quello che dico. Ti aspetto giù...> ed esce lasciandomi in balia delle mie domande. A cosa si riferisce?

Ci incontriamo da Starbucks alle 10.00, per fare una bella e ricca colazione, cosa che io ho già fatto a casa, non sono stata capace di uscire con lo stomaco vuoto né tanto meno rifiutarne un'altra.
Non questa mattina, la gioia è tanta.

Stiamo aspettando solo lui.

Si fa attendere. Io sono seduta di spalle alla porta e sto giocando con il fazzoletto che si trova nei contenitori sui tavolini (almeno servono a qualcosa, visto che non puliscono niente, anzi ti scartavetrano le labbra), quando sento la campanella della porta suonare, segno che qualcuno è entrato. Ma quello che mi fa capire che è arrivato è stata la reazione della sua scopa-amica, e di tutte le ragazze del tavolo di fronte al mio.

Sbavano, starnazzano come oche in un laghetto, quello fatto nelle loro mutande quando l'hanno visto. Mi giro e per poco non vengo anch'io.

Jeans talmente stretti che l'immaginazione non serve per indovinare le sue misure, T-shirt color amaranto, semplice senza stampe, non sarebbero servite, aveva già tutti quei tatuaggi che uscivano dalle braccia e dal collo a fare da sfondo. Quei capelli tenuti indietro da un tipo di elastico nero. Tutto il suo bellissimo viso era esposto, anche troppo. Quegli occhi che io amo tanto, sono di un grigio chiaro oggi. Quelle labbra sono leggermente arrossate, forse a causa del caldo, lui continua ad inumidirle.

I nostri sguardi si incrociano, viene verso di noi con quella camminata da ammaliatore. Il busto che si contrae ad ogni passo che compie come i muscoli delle cosce che si contraggono allo scattare del passo. Sembra un'incantatore di serpenti, solo che per fortuna il suo è chiuso da una lampo, che sembra voglia esplodere.

<Buongiorno> dice. Semplicemente, una parola basta per portarmi all'apice del desiderio. È più forte di me, continuo a fantasticare su noi e la nostra ipotetica intimità.

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