IL PIVELLO FA UN BAGNETTO
≈♆ Percy ♆ ≈Semidei.
Quella parola mi rimbombava nella testa da due giorni, la ripetevo e nel farlo mi sembrava sempre meno reale. Non volevo che lo fosse, perché avevo capito fin da subito che aveva un prezzo.
Mia madre aveva pagato quel prezzo.
La rivedevo in continuazione, mentre correva per spingermi verso qualcosa e poi le sue mani scomparivano, non ne sentivo il peso, il calore ma avevo sentito le sue urla.
Per tutta la vita avevo visto cose folli, credevo di essere pazzo ma quello era stato reale. Vedere mia madre stretta a quel mostro, a quel Minotauro coi mutandoni, era stato vero.
E poi lei era semplicemente svanita, come se non ci fosse mai stata.
Mi ero infuriato, forse era stata la scarica di adrenalina a farmi agire.
Lo volevo morto.
Non avevo mai voluto fare del male a nessuno in vita mia, neppure al mio schifoso patrigno.
Era stato veloce, brutale ma un attimo prima gli ero sopra e quello dopo cadevo a terra, col suo corno in mano.
Grover gridava, il mio migliore amico ma raggiungerlo mi fu impossibile, svenni prima.
Scacciai quel pensiero, l'immagine dell'oscurità, del dolore per l'ennesima volta.
Ero piombato in un altro mondo, in un posto chiamato Campo Mezzosangue.
Ed era forte, una vera figata ma non m'importava.
Non m'importava se Grover era una capra o il mio professore un immortale cavallo. Non volevo neppure imparare i veri termini del loro stato, non volevo neanche ammettere il mio.
Mia madre era morta e mio padre?
Non ne sapevo nulla, anche se il Signor D cercò di passarsi per lui. Dioniso, un tipo davvero strano, barbuto ed alcolizzato.
In quel posto erano tutti strani, almeno quanto me.
E il tempo continuava a passare in fretta, capitavano troppe cose e nessuno si fermava per spiegarmele con calma. Un momento era nella Casa Grande e quello dopo Grover parlava di dodici dei, di semidei non riconosciuti, di battaglie, di dislessia e un sacco di altre cose.
Dovevo apparire calmo, certo ma avrei voluto mettermi a gridare, dare un calcio a qualcosa.
Invece mi ritrovai in una casa vecchia, con la soglia fatiscente e con la vernice marrone screpolata; sopra la porta era rappresentato un caduceo, simbolo del dio Ermes.
Non sapevo molto di lui, a parte che era un messaggero, come un postino o un corriere Amazon.
C'erano molti letti e sacchi a pelo, quest'ultimi per i figli non riconosciuti.
Già, Ermes accoglieva i vagabondi e i ragazzi come me, il cui genitore divino non era interessato.
Se avessi mai conosciuto mio padre, chiunque fosse, all'epoca gli avrei voluto dare un bel calcio.
E poi era arrivato Luke Castellan, affascinante e non un bullo come sembrava. La cicatrice era piuttosto terrificante ma lui era divertente, gentile e non molti lo erano stati con me.
Gli ero così grato, perché mi parlò con calma del Campo, di Chirone e di ciò che davvero eravamo.
Semidei, figli mortali di dei Greci, che vivevano a New York, all'Empire State Building.
Le cose, dette da lui, avevano un senso. Voleva aiutarmi, quindi mi fece mettere una maglia arancio e mi accompagnò per tutto il pomeriggio dentro le cabine.
Dico solo che capì facilmente che non ero figlio di Efesto, per poco non bruciai l'intera fucina.
Onestamente fui piuttosto deluso da me stesso, non mi sentivo speciale, un'eroe.
Mi sentivo abbandonato.
Forse per questo abbassai la guardia quando una ragazza, robusta, forte e dallo sguardo serio mi si presentò davanti. Clarisse La Rue, la Regina dei Bulli.
Mi credeva un bugiardo, avevo perso mia madre e quella pensava solo al Minotauro. Cercò di mettermi la testa nel water, così capì che era figlia di Ares ma quella paura, quella rabbia si sprigionò dalle tubature.
L'acqua li aveva bagnati completamente, lei e i suoi fratelli deficienti.
Avrei riso se non fossi stato terrorizzato.<<Prima regola. Gli amici e i nemici oggi sono di diversi colori, ci arrivi?>>
Alzai la testa scura, mi ero reso a malapena conto di come ero arrivato a stamattina. Davanti a me c'era Annabeth Chase.
Bionda, snella e con uno sguardo abbastanza terrificante. L'avevo vista due volte, durante la notte in cui ero in infermeria e in quel bagno.
I suoi occhi grigi mi giudicavano e studiavano, potevano solo appartenere alla dea Atena. Però non fu poi così tanto maleducata, solo inquietante.
Mi disse solo che avrei partecipato alla battaglia, di presentarmi la sera dopo e di non attirare l'attenzione. Facile per lei, io ero una calamita per i guai.
Guardai male la bionda<<Sì, grazie. Ma la storia delle case? Prima...>>
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𝐋'𝐄𝐫𝐞𝐝𝐞 𝐝𝐞𝐥𝐥𝐚 𝐋𝐮𝐧𝐚¹ - 𝐏𝐞𝐫𝐜𝐲 𝐉𝐚𝐜𝐤𝐬𝐨𝐧
FanfictionTutti vogliono essere speciali, finché non scoprono di esserlo. Io volevo esserlo, all'inizio, sognavo di entrare in un libro e vivere mille imprese ma quando è accaduto, tutto ciò che volevo era nascondermi. Non volevo essere Samira Arrow, mi anda...