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Jorge Pov.
Inspirai una buona quantità di fumo e la mantenni nei miei polmoni per qualche secondo, per poi rilasciarla dal naso. Una colte di fumo incontrò l'aria gelida proveniente dalla finestra socchiusa, e poi svani. Si, stavo fumando e mi sentivo una merda per quello, non conoscevo altri metodi per affievolire la rabbia che mi stava mangiando vivo. Oltre che a picchiare qualcuno, ovviamente, ma sembrava un tantino più fastidioso. E non avevo bisogno di altra merda per incasinarmi la vita.

Ero incazzato, ferito e frustrato Nell'ordine esatto. Incazzato perché Martina si era rifiutata di ascoltarmi e si era comportata da sfacciata, senza darmi l'opportunità di spiegarle nulla. Tuttavia, la verità andava detta, avevo pianificato di dirle tutto, ma le parole mi morirono in gola. Ero ancora arrabbiato.

Ero ferito perché mi aveva chiamato mostro e, anche se aveva detto di non pensarlo davvero, mi sentii in dovere di dubitarne. Voglio dire, credo che non avrei dovuto rimanerne sorpreso. Ma vedere l'unica persona al mondo che non ti aveva mai rinfacciato ciò che hai fatto in passato bruciava dannatamente tanto. E per ultimo, ero frustrato perché non avevo chiarito niente, niente aveva funzionato e mi fece sentire peggio, se fosse stato possibile.

Cristo, sapevo che Martina era troppo impressionabile, ma aveva assimilato le cose in modo diverso. E, considerando il fatto che io fossi facilmente irritabile, e per niente bravo a sostenere certe conversazioni eravamo fottuti. Tirai un calcio contro al muro sotto alla finestra, facendo cosi cadere un po' d'intonaco. L'estate scorsa promisi a mia madre che l'avrei ridipinta, ma, chissa come mai, non lo feci. Avrei dovuto farlo al piu presto. I miei polmoni bruciavano per tutta l'aria gelida che avevo respirato, mista all'erba che avevo preso in prestito da Xabi. (Non che avessi pianificato di restituirgliela)

Dopo la partita di Daniel perché avevo persino paura di voler uccidere Martina per avermi ferito o sbatterla contro la recinzione e baciarla per ricordarle quanto mi piaceva nonostante tutto andai da Xabi. Il viaggio durò quanto bastò per calmarmi, ma continuavo a venire sballottato all'interno di quel vagone della metropolitana non potevo lasciare la mia famiglia senza macchina mentre un misto di rabbia e dolore mi avvolgeva.

Inizialmente Xabi si era rifiutato di darmi della droga, dicendo che non ne avevo bisogno. Come se avesse il diritto di farlo! La mia pazienza aveva raccontato la conversazione con Martina omettendo i dettagli di come il mio cuore si ruppe nell'istante in cui aveva detto "Forse è quello che sei, Jorge." si convinse finalmente a regalarmi lo spinello che aveva appena preparato come premio di consolazione. Patetico.

Tra una cosa e l'altra ero appena tornato a casa, il mio stomaco era cosi pieno dello stufato di maiale preparato dalla madre di Xabi, che avrei potuto scoppiare. Mi ero diretto in camera mia senza parlare con nessuno, sebbene la mia famiglia fosse già rincasata e non aspettava altro che il mio ritorno.

Non che mi avessero mai fatto sapere dove stessero andando. Avevo il presentimento che mia padre sapesse più cose di quel che credevo.

"Jorge." Improvvisamente sentii qualcuno gridare il mio nome dall'altro lato della porta. Non risposi, ma continuai a fumare la mia preziosa marijuana. Un uomo non puo avere un attimo di pausa?

"Jorge!" mi richiamò di nuovo, questa volta alzando la voce. Era irritante, e pensai solo ad una persona Cande. Roteai gli occhi. Ben presto sentii bussare alla porta, il che era abbastanza inutile perché Cande non aspettava mai che andassi ad aprirle la porta. "Non mi hai sentita mentre ti chiamavo, deficiente? Devi aiutarmi a piegare il bucato."

Non mi voltai nemmeno, mantenni quella posizione sperando che se ne andasse e mi lasciasse in pace.

"E erba?" sbottò, annusando l'aria. Ben presto mi raggiunse, picchiettandomi il dito sulla spalla fino a che non mi voltai. "Esci. Dalla. Mia. Stanza."

Il ragazzo del BronxDove le storie prendono vita. Scoprilo ora