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Jorge Pov.
Per una volta, fui grato del fatto che Stephie fosse nei paraggi per infastidire Martina. L'ultima cosa che volevo era che vedesse Anthony e i suoi uomini, indipendentemente da ciò che potrebbe comportare. Mi sorprese il fatto che Stephie mi fece un cenno positivo quando le chiesi di far allontanare la mia ragazza e Samantha da li, mi voltai verso di Anthony ed i suoi uomini. Non sapevo il nome dei suoi tirapiedi, perché tendeva a cambiarli ogni mese, ma erano sempre muscolosi e ben piazzati. La maggior parte delle persone presenti al matrimonio conosceva Anthony era un tipo abbastanza popolare nel quartiere ma ciò non significava che non avessero paura di lui. Molti erano scappati dentro ad altre stanze come se non l'avessero visto e, onestamente, se mai dovessi parlare con lui, preferiresti non aver mai aperto bocca. Avevo detto a Josh che sarebbe stata una pessima idea accettare un'offerta da Anthony non mi avrebbe mai dato nulla per nulla ma dovetti ammettere che non mi aspettavo di vederlo qui. Si guardò attorno come a voler cercare dei visi famigliari. La maggior parte di noi scosse il capo educatamente.

Nessuno avrebbe osato essere rude nei suoi confronti, non se volevi tenerti le palle. Credo che nessun uomo vorrebbe perderle per quanto stronzo fosse, cercavamo di fare nel nostro meglio per non odiarlo. Si congratulò con Josh, il quale affiancava in modo protettivo Alba. Rabbrividi quando Anthony le sfiorò la pancia e fece dei commenti sul bambino. L'avrei preso a calci in faccia per averla fatta sentire così a disagio. Josh sembrò pronto per farlo. Dopo che Anthony parlò per un po', e Alba fu costretta a ringraziarlo per averle lasciato il posto per celebrare il matrimonio una casa che non avrei voluto sapere a cosa fosse servita si dedicò a Xabi e me. Avevo cercato di spingere Will nell'altra stanza nell'istante in cui avevo visto la macchina di Anthony, ma da testardo qual era, insistette per rimanere. Era ancora il più piccolo di noi e volevamo tenerlo fuori da quei giri. Tuttavia, Anthony aveva già posato gli occhi su di lui. Era sempre pronto ad assumere nuovi lavoratori. I suoi occhi scrutarono Will per un secondo prima che si voltasse verso Xabi e me. Sorrise. Un sorriso contorto che lasciava intravedere alcuni denti d'oro. "Ragazzi, quanto tempo." Diede una pacca sulla spalla ad ognuno di noi. Annuimmo sostenendo il suo sguardo.

Quella era la cosa migliore che potessimo fare. L'avevo imparato dopo alcune commissioni svolte per lui. "Ho in mente grandi piani per quest'anno. Vi farò chiamare al più presto dai miei uomini." disse. Avevo già svolto dei lavori per lui qualche giorno fa, e per quanto banali fossero state quelle consegne, non mi era piaciuto il modo in cui tentava di costringermi nuovamente ad immischiarmi nei suoi affari. Si voltò a guardarmi. "Sai che sei sempre il benvenuto per ritornare a correre, Jorge." Il tono della sua voce mi suggerì che avrei davvero dovuto considerare l'idea, ma non era nei miei piani ritornare a fare qualcosa che mi aveva rovinato la vita, qualcosa che recentemente si era ripresentato, causandomi ancora problemi. Sapendo che non avessi altra scelta, annuii, ma non dissi niente. Poco dopo, infine, lui e i suoi uomini se ne andarono e ci lasciammo andare in un sospiro di sollievo. Non ero mai stato cosi felice di guidare per aver guidato in macchine separate senza Martina. Quando Anthony se ne andò ed io tornai da lei Stephie aveva scelto di nascondere tutte le ragazze in cortile mi riempi di domande. Strofinai le mani contro le sue braccia per scaldarla perché stava tremando, batteva i denti e scostava continuamente lo sguardo a destra e a sinistra.

Risposi meglio che potei, cercando di tralasciare i dettagli. Meno sapeva e meglio era. Quella era la ragione per la quale volevo che rimanesse lontano dalla vista di Anthony. Se c'era qualcosa che quell'uomo disgustoso amava tanto quanto i conti, erano le donne. L'ultima cosa di cui avevo bisogno era che si prendesse una cotta per la mia ragazza. "Non riesco a credere che questa casa appartenga a quel bastardo." disse indignata. "Non riesco a credere che si sia presentato qui in un giorno come questo. Ha rovinato tutto. È cosi ingiusto. E mi fa rabbrividire fino a morire!" La capii.

Ma quando iniziò a domandarmi cosa mi avesse detto, dovetti mentirle. Non volevo che si arrabbiasse maggiormente e raccontarle la verità l'avrebbe fatta preoccupare più di quanto in già non fosse. Dal momento in cui aveva cosi tanto a cui pensare, tra famiglia e scuola, non volevo addossarle un ulteriore peso sulle spalle, così le dissi che Anthony non voleva più avere a che fare con me. Anche se riluttante, mi credette, e dopo aver ballato mentre Stephie ci guardava, anche se non sapevo se fosse perché avessi mentito a Martina o perché ci odiava, decidemmo di andare a casa. Martina era stanca e cosi la lasciai riposare sul mio letto. Era quasi a metà pomeriggio quando parcheggiai l'auto ingresso del mio palazzo e avrei mentito se avessi detto che non mi sentivo stanco. Martina parcheggiò poco distante da me e mi raggiunse poco dopo. "Mi prendi in cavalluccio." sbatte le ciglia, mostrandomi un'espressione da cucciolo. Sapevo che i piedi le facevano male un aspetto negativo di indossare tacchi alti come quelli che portava sempre così roteai scherzosamente gli occhi e mi abbassai in modo da farla aggrappare alle mie spalle. Non appena fummo nel mio appartamento, fui felice di vedere che era vuoto. Portai Martina in camera mia, lasciandola cadere sul letto. "Grazie, Principe azzurro." disse, stiracchiandosi sul letto e togliendosi le scarpe. "Quando vuoi, Principessa." dissi, abbassandomi per intrappolare il suo labbro inferiore tra le mie. Martina ridacchiò. "Dov'è tua mamma?"

"A casa di un'amica, credo." Non m'importava molto per quanto tempo avrei avuto casa libera, iniziai a stringere la coscia di Martina. "Sei davvero sexy con quel vestito. Mi domando quando sexy saresti senza." mormorai vicino al suo orecchio, leccandole il lobo. Si lasciò sfuggire un gemito, ma riuscii a sentire la sua pelle scaldarsi. Voltò il viso e le nostre labbra s'incontrarono. Il bacio si approfondì poco dopo e mi sorpresi di trovare la lingua di Martina nella mia bocca.

Le lasciai prendere il controllo e le abbassai le collant. Mi aiutò a sfilarle, ribaltando le posizioni. Sembrava essere carica ed infilò il viso nell'incavo della mia spalla, iniziando a far lavorare le sue labbra sulla pelle di esso, per poi sciogliere il nodo della cravatta e sbottonando il primo bottone della camicia. Dio, la volevo così tanto. Avevo bisogno di lei. Specialmente dal giorno in cui stavamo per farlo in macchina. Ero ritornato a casa tentando di nascondere un rigonfiamento grande quasi quanto le dimensioni del Texas. Le labbra di Martina ritornarono sulle mie, divorandole come se mi volesse tanto quanto la volevo io. Feci scorrere le mani dietro alle sue cosce, sino ad afferrarle il sedere. Dio, indossava della biancheria intima in pizzo. Mi sollevai in modo che potesse sfilarmi la camicia e fece scorrere immediatamente le mani lungo sugli addominali e lungo il petto per poi incrociarle dietro al mio collo. Stavamo entrambi ansimando, le mie dita stringevano il lembo del suo vestito, pronte per sollevarglielo, quando sentimmo il campanello echeggiare per tutta casa. Borbottai. Era uno scherzo? Perché certe interruzioni dovevano capitare a me? Martina roteò gli occhi, infastidita quanto me, e, abbassando lo sguardo sui miei pantaloni, sollevò in aria le mani e disse.

"Vado io." ridacchiando. Dannazione, mi lasciai cadere a peso morto sul materasso. Mi rivestii poco dopo. Dopo tutto, era il mio campanello. Chiunque fosse, doveva essere qui per me o per qualcuno della mia famiglia. Stranamente, non sentii alcun suono quando mi avviai per il corridoio che portava all'ingresso. Quando raggiunsi Martina, mi guardò con un'espressione di terrore dipinta sul suo bellissimo viso. Deglutì come se stesse cercando di soffocare le lacrime. Spostai ripetutamente lo sguardo da lei alla porta aperta, confuso. Cosa-" le parole mi morirono in gola quando vidi due uomini sul pianerottolo. Avevano entrambi un'espressione addolorata dipinta in volto e sembrava che volessero essere da tutt'altra parte. Poco dopo, la mano di Marty mi sfiorò il braccio e notai l'uniforme che entrambi indossavano. Uniformi da esercito. No. Si scambiarono un'occhiata colma di dispiacere, come se si stessero pregando a vicenda di parlare. "Mi dispiace, Jorge." singhiozzò Martina. No. Non riuscii a distogliere lo sguardo dalle uniformi mimetiche di quegli uomini e dalle catenine appese al collo di entrambi.

Catenine come quella di mio padre. Catenine come quella che avevo io. No. Scossi velocemente il capo. "No." dissi ad alta voce, ma uscì come un sussurro. "No, no, no, NO!" il tono di voce aumentò non appena vidi Martina in lacrime. Ero a malapena consapevole della sua stretta attorno al mio braccio, del movimento delle labbra di quell'uomo e della borsa posata ai suoi piedi. L'unica cosa che riuscii a sentire fu un 'No' continuo che echeggiava nella mia mente, pronunciato con decine di voci differenti. Voci di un me più giovane mentre faceva un incubo del genere. No, mio padre non poteva essere morto. Forse pensando che avrei potuto lasciarmi alle spalle la cruda realtà, corsi più forte che potei fuori casa, spingendo il corpo con quanta più forza potei.

Il ragazzo del BronxDove le storie prendono vita. Scoprilo ora