Capitolo 15

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Andrew mi stava ancora fissando, stava semplicemente in silenzio aspettando una qualsiasi mia risposta.
Vorrei raccontargli del mio passato, ma ho paura di una qualsiasi sua reazione.

"Ti puoi fidare di me Jyllian"

Fidarsi, bella parola. Io non l'ho mai fatto. E dati i suoi precedenti, non può neanche pretendere che io lo faccia.

"Non mi fido di nessuno"

"E allora è tempo che cominci a provarci. C'è una prima volta per tutto"

Lo guardo negli occhi, cercando un suo tentennamento, e spero quasi che se ne vada o che il campanello suoni, ma non succede e il suo sguardo è sicuro, mentre un angolo della sua bocca è leggermente alzato.

"Se ti mostro una cosa, devi promettermi che non lo racconterai mai a nessuno"

"Certo"

Mi alzo dal divano per andare in camera mia, e frugare nei cassetti della biancheria per cercare quel paio di pantaloni maledetti.
Semplici. Marroni. XXL.

Torno in salotto con i pantaloni ancora piegati, per poi sedermi di nuovo vicino al mio coinquilino e mostrarglieli

"Non te li ho mai visti addosso, di chi sono?"

"Sono miei, di quando ero alle medie"

Lui mi osserva senza capire.

"Hai mai visto qualche mia foto in costume da bagno, tra quelle che ho appese nella mia camera? O mentre indossavo dei pantaloncini? "

"Non che ricordi"

"Ti ricordi il tatuaggio con la scritta Sisters sul polso? "

"Si"

"Ti ricordi che ho detto a te e Cole che non sapevo cucinare?"

Lui annuisce, ancora più confuso di prima

"Beh ho mentito. Io so cucinare, ma poche cose. Solo pollo, verdure o cose semplici"

"D'accordo, e quindi?"

Sono indecisa se porgergli l'ultima domanda, ma devo farlo

"Ti ricordi la perizia medica che hai trovato a scuola, nella mia cartella?"

Vedo la sua mascella serrarsi e gli occhi cercare un altro appiglio che non siano i miei, facendomi capire che se lo ricorda.
Mi mordo nervosamente l'unghia del pollice, cercando di non scappare da questo divano.

"Io in palestra sollevo molto peso perché ho frequentato uno sport per praticamente tutta la vita, perché la mia dietologa mi aveva detto che solo in questo modo sarei riuscita a..."

Non riesco a finire la frase che sento una stretta alla gola, mentre le parole si perdono e gli occhi si inumidiscono. Nonostante siano passati diversi anni, ricordarlo fa male.

Lui però sembra azionare quel suo cervello da dottorino e sbarra gli occhi, capendo.

"Se sei stata dalla dietologa significa che eri-"

"Sovrappeso"

Continuo interrompendo prima che potesse finire la frase.
"E non mi riferisco ai soliti due, tre chili in più. No"
Prendo un respiro profondo per poi iniziare a raccontare

"Ho iniziato a metter su peso dalla quinta elementare, quando ho iniziato a capire il perché vivessi con i miei nonni e non con i miei genitori. Mangiavo sempre di più, perché mentre mangiavo non ero più triste. Ma alle elementari nessun bambino mi diceva nulla, solo che poi sono arrivata alle medie, e da allora è iniziato l'inferno. I ragazzi della mia classe mi prendevano in giro, mi dicevano che sembravo incinta e che dovevo dimagrire. E utilizzavano così tanto cattiveria che, per cercare di non pensarci, mangiavo. In seconda media il ragazzo che più mi prendeva in giro era lo stesso per cui avevo una cotta. Avevo provato a lungo a stare a dieta, e riuscivo anche a non mangiare quasi nulla per tutto il giorno, e a fine giornata ero così felice che arrivavo a premiarmi mangiando, e quindi era tutto vano. Inoltre, come mi aveva detto anche la mia dietologa, il mio metabolismo era davvero lentissimo, e quindi tutti i miei sforzi erano vani. All'inizio della terza media pesavo circa 90 chili.
Ecco perché ripetevo il numero 90, durante il mio crollo nervoso -mordo l'unghia del pollice, guardando in alto per non far scendere nemmeno una lacrima- non uscivo mai di casa perché mi vergognavo, e quando facevo la doccia chiudevo la porta a chiave affinché nessuno mi vedesse, e utilizzavo l'acqua bollente affinché lo specchio si appannasse, così mi sarei evitata l'umiliazione di guardarmi allo specchio nuda. Inoltre avevo una sola vera amica, ma nemmeno lei sapeva quanto mi sentissi male per ciò che dicevano sul mio conto, perché io ci ridevo sú sperando che il giorno dopo avrebbero smesso"

Il Rumore Del SilenzioDove le storie prendono vita. Scoprilo ora