Capitolo 22

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Chiudo gli occhi cercando di calmare almeno un po' il senso di nausea che mi ha fatto rivoltare lo stomaco.
Inutile.

Giro lo sguardo verso Andrew che è appoggiato al finestrino, sembra completamente rilassato. Non come me che a momenti vomiteró sul sedile del signore accanto.

È silenzioso, direi anche troppo. Poggio una mano sulla sua, ferma immobile sulla gambra destra. Non si gira nemmeno a guardarmi, semplicemente intreccia la sua mano alla mia.

Ieri dopo pochi minuti passati in silenzio fuori dalla porta siamo rientrati in casa, dirigendoci senza fiatare nella mia camera.
Le ragazze avevano continuato a mangiare il gelato cercando di ignorarci, ma in realtà con la punta dell'occhio seguivano ogni nostro movimento.
Jerome invece era stato meno discrito, aveva esplicitamente chiesto cosa fosse successo, zittendosi solo quando gli avevo fatto segno con la mano che gli avrei raccontato tutto dopo.

Si era seduto sulla punta del letto, sorreggendosi la testa con le mani. Arrivare con la macchina fino a casa sua avrebbe richiesto davvero troppo tempo, non c'erano treni disponibili e non volevo che guidasse in quelle condizioni. Così avevo trovato un aereo low cost con partenza alle 5 del mattino, e avevo prenotato due biglietti. Prendere il secondo bagaglio avrebbe causato troppi impicci, così avevo cercato di far entrare tutto nella piccola valigia disponibile, dovendo rinunciare a portare l'accappatoio.
Pazienza, avrei usato quello di Andrew.

Lui in tutto questo si era tolto le scarpe ed era entrato nel letto, coprendosi fin sopra la testa con le coperte.
Finito di mettere tutto il minimo indispensabile nella valigia mi ero precipitata in bagno a lavarmi rapidamente, per poi indossare il pigiama nonostante non fossero nemmeno le cinque del pomeriggio. Tornata in stanza avevo trovato Andrew abbracciare il mio cuscino, ma quando mi ero stesa accanto a lui aveva lanciato fuori dal letto quest'ultimo e mi aveva stretta a sé.

E ora siamo ancora in questa posizione, fermi da quasi due ore a guardarci, lui che mi sfiora il fianco senza realmente vedermi, e io che gioco con alcune ciocche dei suoi capelli.

Vorrei chiedergli di parlarmi, di dirmi come si sente. Ma Andrew è diverso, lui vuole solo qualcuno che capisca il suo dolore prendendone una parte. Parlare in questo momento lo farebbe solo richiudere a riccio nella sua corazza.

"Come si chiamano i tuoi genitori?"

Lui si desta dai suoi pensieri guardandomi, come se mi stesse notando solo ora.

"Cosa?"

"I loro nomi, quali sono?"

"Perché lo vuoi sapere?"

"Se domani dovrò venire a casa tua vorrei almeno sapere come chiamarli."

Lui sembra quasi non ricordare i loro nomi, tant'è perso nei suoi pensieri, ma poi mi risponde

"Cheryl e Denver. Ma sono divorziati, mio padre ora viaggia in giro per il mondo, è un giornalista. Mia madre invece è una ginecologa che lavora in uno studio medico privato. Nel weekend lavora in un poliambulatorio destinato a chi non ha un'assicurazione.
Non stiamo quasi mai insieme, tranne il giorno del ringraziamento e in altre occasioni come compleanni o Pasqua."

Sorrido, poi analizzo le sue parole.

"Ma allora perché non sei tornato a casa per il ringraziamento?"

Mi sorride per la prima volta da quando è tornato, e credo di aver visto una luce passare nei suoi occhi, che però svanisce subito.

"E perdermi il tuo primo ringraziamento?"

Mi avvicino di più a lui, senza perdere il contatto visivo, e intreccio le mie gambe alle sue. La sua mano dal fianco sale un po' più su, fa pressione sulla schiena facendo combaciare ogni centimetro del nostro corpo.

Il Rumore Del SilenzioDove le storie prendono vita. Scoprilo ora