77. Jo

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Alle 6pm io e Hero siamo rimasti soli a casa. Ci hanno invitati ad uscire ma io ho spiegato di non sentirmi bene e che Hero avrebbe certamente preferito restare a casa con me, per essere sicuro che stessi bene.
Ora siamo ancora nella mia stanza. Lui è sdraiato sulla schiena e fissa il soffitto, pensieroso; io sono girata su un fianco verso di lui, ma non lo guardo nemmeno di sfuggita. Sto cercando di fare ordine tra i miei pensieri, ma solo la sua presenza qui mi distrae.
Mi alzo senza dire nulla e vado in bagno a fare la pipì prima di scendere di sotto.
«Stai bene?» domanda senza venire a cercarmi.
«Si.»
Tiro l'acqua, mi lavo le mani e mi dirigo verso la porta per uscire dalla stanza. Lo guardo un secondo e poi mi chiudo la porta alle spalle.
Ho bisogno di concentrarmi su qualcos'altro.
Torno indietro e quando apro la porta della mia stanza Hero alza la testa.
Prendo il primo libro di After dal comodino ed esco di nuovo dalla stanza a testa bassa.
Giunta in salotto, mi siedo sulla poltrona a gambe incrociate e inizio a leggere. Rileggo anche quelle prime due pagine scritte a mano.
Credo che una pausa sia necessaria, per permettere a entrambi di capire come ci sentiamo. Non voglio che finisca tutto, no, andrebbe bene anche solo qualche messaggio e qualche telefonata ogni tanto solo per sapere come stiamo. Non dobbiamo baciarci, toccarci e dobbiamo cercare di non pensarci durante questo periodo di pausa. Se le cose non funzioneranno allora si vedrà dopo.
Credo che ci sia differenza tra amare qualcuno e non riuscire a vivere senza.
Quando sento Hero scendere le scale sto per iniziare un altro capitolo.
Si siede sul divano e poi mi chiede: «Ti sta piacendo?»
Alzo lo sguardo dalle pagine per incontrare i suoi occhi. «Si» rispondo semplicemente.
Guardo l'ora sul cellulare: è passato un quarto d'ora e mi è venuta fame.
«Ehi,» mi rivolgo a lui «vuoi mangiare qualcosa?»
«Tu?» dice, come distratto da qualcosa.
«Si... ma qualcosa di leggero.»
Si alza. «Okay, mi aiuti a preparare qualcosa?»
Lo raggiungo e apparecchiamo insieme la tavola.
Prepariamo l'insalata e mentre due fette di carne bianca si cuociono sulla griglia.
Non parliamo molto, solo "passami questo" e "passami quello".
«Se vuoi bere una birra fai pure» gli dico.
Apre il frigo e prende una bottiglia di Corona, la apre e ne beve un sorso.
Mi siedo a capotavola e riempio un bicchiere d'acqua.
Hero mette la carne nei piatti e la condisce con un pizzico di sale e dell'olio.
Si siede accanto a me, mi guarda negli occhi e dice: «Buon appetito.»
Accenno un sorriso e iniziamo a mangiare in un silenzio assordante.
«Mi dispiace... per prima» si può udire il senso di colpa nella sua voce.
«Già, dispiace anche a me» dico con un tono neutrale.
Non ci dilunghiamo oltre quelle parole. L'atmosfera è fredda, congelata, l'opposto rispetto a quella sera in cui andammo a cena ad Atlanta. Mi mancano i vecchi tempi onestamente, ma non tornerei indietro per cambiare qualcosa, non lo farei.
Sono curiosa di sapere cosa farebbe lui.
«Se potessi tornare indietro al giorno in cui ci siamo incontrati, cambieresti qualcosa?» gli chiedo dal nulla.
Mi guarda accigliato. «Perché me lo chiedi?»
«Così» faccio spallucce.
Ci pensa su un attimo. «No» risponde poi.
«Neanch'io.»
E la nostra piccola discussione termina qui. Odio questa freddezza.
Una volta che finiamo di mangiare, mi sento la testa scoppiare ma mi offro comunque per sparecchiare e sciacquare i piatti. Hero nota che non mi sento bene e ci pensa lui, io vado a sdraiarmi sul divano.
Hero mi raggiunge e si siede sulla poltrona. «Come ti senti?»
«Uno schifo» rispondo sinceramente. Credo di avere un milione di ormoni in subbuglio perché mi sento irritata e arrabbiata, stanca, emotiva e debole. Potrei piangere vedendo una foglia tremare al vento per poi cadere a terra in solitudine.
Mi fa incazzare come una belva pensare alla discussione di pomeriggio e mi sento debole al pensiero che potrei aspettare un bambino. Voglio piangere... credo proprio che lo farò, adesso.
«Ehi, perché stai piangendo?» mi chiede preoccupato sedendosi accanto a me.
Singhiozzo, non riesco a parlare.
Sospira. «Piccola, è tutto okay. Dimmi, sono qui» e mi accarezza il viso.
«Hero...» cerco di parlare, con scarsi risultati.
«Respira, cerca di calmarti un po'.»
Prendo un respiro profondo, ma piango più di prima. Ho bisogno di un abbraccio. Mi siedo e mi butto tra le sue braccia.
«Shh... ci sono io qui.» Mi bacia sulla spalla.
«Ho... gli ormoni in subbuglio» dico singhiozzando. «Ho iniziato a piangere pensando a una foglia che cade a terra!»
Non dice nulla ma accarezza la mia schiena con delicatezza.
«E sono arrabbiata.»
«Questo è colpa mia...» dice sottovoce.
«Si, esatto...» Faccio una pausa per piangere ancora.
Mi stacco dal suo abbraccio per guardarlo in quegli occhi verdi stupendi. «Perché devi dubitare di me?»
«Non dubito di te.»
«Stronzate» sbotto. «Lo fai, e adesso dimmi solo perché.»
«Non mi hai detto che il tuo ciclo fosse in ritardo... di venti giorni per giunta» si spiega.
«Non pensavo fosse in ritardo di così tanto! Capisci? Non era mia intenzione!» Scoppio di nuovo a piangere tra le sue braccia.
«Va bene.»
«Va bene un cazzo, lo dici solo per— Ho bisogno di una pausa» dico improvvisamente.
Spalanca gli occhi. «Cosa? Di che stai parlando?»
«Ne abbiamo bisogno, entrambi» gli faccio notare.
Scuote la testa velocemente. «No, no invece.»
«Non voglio lasciarti, si tratta di una pausa» preciso.
«Lo sai anche tu che finiremo per lasciarci...» I suoi occhi diventano lucidi.
«Non è vero.»
Prende il mio viso umido di lacrime tra le mani. «Jo, io ti amo e non posso vivere senza di te...» Poggia la fronte contro la mia.
È questo ciò di cui parlavo prima...

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