92. Jo

202 9 2
                                    

Siamo rimasti in silenzio per tutto il tragitto perché nella mia mente si affollavano un milione di pensieri e non trovavo le parole per rompere il silenzio.
E se non mi vuole più? Se lo fa per provocarmi? E se stesse solo giocando con i miei sentimenti?
Sono paranoica, già.
Questi sono i miei dubbi maggiori, continuano a tormentarmi.
Se stessi facendo una stupidaggine?
Basta, ho bisogno di spegnere il cervello.
Sono nella mia stanza d'hotel e sono appena uscita dalla doccia. Mi metto un pigiama di pile che ha una sorta di felpa bianca come maglia e dei pantaloni larghi, rosa e con dei fiori bianchi.
Ho bisogno di... non so, bere qualcosa magari. Non voglio più pensare.
Mi dirigo verso la porta e quando la apro mi ritrovo Hero davanti. Stava per bussare.
«Ehi, ciao» dice semplicemente.
Distolgo lo sguardo dai suoi occhi. «Ehm, ciao. Ti serviva qualcosa?»
Si guarda intorno. «No... Credevo volessi parlarmi» mi ricorda.
«Oh, si...» Non so cos'altro dire. Resto in silenzio sulla soglia della porta.
Questo è imbarazzante.
«Be', dove vai?» chiede.
«Io... ehm, volevo solo bere qualcosa» faccio spallucce.
Inarca le sopracciglia sorpreso. «Tutto okay?» Mi conosce fin troppo bene...
«Si. Solo un drink.»
So che non è opportuno probabilmente, ma forse ubriacarsi in compagnia è meglio che da soli.
«Vuoi berne uno con me?» lo invito dopo averci pensato su qualche secondo.
«Oh, va bene.»
Chiudo la porta e metto la chiave nella tasca davanti della felpa-pigiama.
Entriamo in ascensore e premo il pulsante 0. C'è uno specchio qui dentro, ne approfitto per sistemarmi lo chignon scombinato che ho fatto prima di lasciare la camera.
«Non riesco a crederci...» Hero dice improvvisamente. Sento i suoi occhi puntati addosso.
«A che cosa?»
"Che sei mia," avrebbe risposto Hardin.
«Che siamo a New York insieme.»
Sorrido. «Oh, già, sono felice.»
L'ascensore scende velocemente, ma saranno una dozzina di piani.
Sospira. «Doveva essere la nostra prossima tappa» dice a bassa voce, con un pizzico di malinconia.
«Giusto, è vero.» Guardo il suo riflesso nello specchio. Le luci luminose di questo ascensore fanno spiccare i suoi occhi verdi, ma il suo sguardo è spento e guarda verso il basso.
Mi volto verso di lui e lo costringo a guardarmi, gli prendo il polso. «Che hai?»
Scuote la testa e deglutisce. «Niente, sto bene.» Si sforza di sorridere, ma gli leggo negli occhi che qualcosa non va.
«Non è vero. Hero... so che la situazione è... strana e confusa, ma sono sempre io,» prendo il suo viso tra le mani e gli accarezzo gli zigomi «la tua Jo, okay?»
Accenna un sorriso impercettibile.
«Devi solo dirmi qual è il problema e proveremo a risolverlo insieme.»
Anna ha ragione, dobbiamo imparare ad aiutarci e a comunicare meglio.
Mette le mani sulla mie e le sposta dal suo viso. Le avvicina alla bocca e le bacia dolcemente, mentre mi guarda dritta negli occhi. Batto più volte le palpebre, fatico a mantenere il contatto visivo, il suo sguardo è così penetrante e magnetico, mi attrae come una calamita.
«È solo che...» inizia a dire. «Mi manca tutto quello che avevamo prima.»
Rilascio un respiro che non sapevo di aver trattenuto.
Le porte dell'ascensore si aprono, e il momento è rovinato. Che tempismo.
Mi lascia le mani e andiamo a cercare il bar. Mentre camminiamo io sto due passi più avanti rispetto a lui, con le braccia incrociate, e lui mi segue.
«Credo sia da questa parte» indica un corridoio. Adesso io seguo lui.
Ma non c'è traccia di un bar. È solo un altro corridoio con delle camere.
«Hero, abbiamo sbagliato. Secondo me non è qui» gli dico, e mi siedo su una delle poltroncine dalla stoffa dorata. Lui poggia la schiena al muro, accanto a me. È così alto...
Lo guardo dal basso con un leggero sorriso sulle labbra.
Si acciglia. «Cosa? Perché mi guardi così.»
«Non lo so... sei altissimo.»
Ridacchia e scuote la testa. Si guarda intorno e gira l'angolo. «Che c'è qui?»
Mi alzo e vado da lui. C'è una porta stretta con una finestrella oscurata. «Qui? Non...»
Mette la mano sulla maniglia e la abbassa, si volta e mi guarda.
«Hero... che vuoi fare?» Credo che quello sia una sorta di ripostiglio.
Apre la porta. È buio.
«Vieni!» sussurra prendendomi il polso e mi trascina con sé lì dentro.
«Sei fuori di testa!» bisbiglio ridacchiando.
«Shh!»
Non vedo nulla. Tasto con le mani attorno a me e tocco uno scaffale, forse. «Hero? Dove sei?»
Credo che anche lui stia cercando qualcosa con le mani, lo sento smanettare con qualche oggetto.
«Hero?» lo cerco di nuovo, perché è calato il silenzio.
Sto sudando freddo. Forse ho toccato la sua maglietta.
«Ciao!» esclama accendendo una torcia tra noi, poi scoppia a ridere.
«Dio Santo!» Mi ha spaventata a morte, oddio.
Ride ancora.
Lo guardo male. «Non è divertente.»
«No, lo è invece.»
Sbuffo e lo spintono.
Si, è uno stanzino delle pulizie. Ci sono scope, detersivi, lenzuola... di tutto.
Hero è ancora divertito dalla sua genialata di poco fa.
«Smettila, giuro che ti prendo a colpi di scopa» ne impugno una e lo minaccio.
Fa una risata sarcastica. «Ah, si? Non mi fai niente con quella» dice sicuro di sé, poggiato alla porta.
Mi avvicino. Tiene la torcia puntata verso l'alto. «Mi stai sottovalutando?» gli dico con aria di sfida. «Non sai a cosa vai incontro con me...»
L'ho messo alle strette adesso. Siamo molto vicini, quasi il mio corpo tocca il suo. Sogghigna e si lecca le labbra, mentre guarda le mie. Dovremmo smettere di fare così, ma non mi va.

Behind - Dietro Tutto l'AmoreDove le storie prendono vita. Scoprilo ora