[2.10]

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[CECILIA]
CALEB SA ESSERE PARECCHIO CONVINCENTE

Ultimamente Caleb era più strano del solito. Era schivo, antipatico e facilmente irritabile. Anche se questa sembrava essere la perfetta descrizione di mio fratello, la cosa strana era che si comportava così anche con me. Non era mai successo prima d'ora. A volte litigavamo e ci rispondevamo male, è vero, ma tra di noi c'era sempre stato quell'indissolubile legame che tiene insieme i gemelli. Io ero parte di lui e lui era parte di me. Quindi, se percepivo qualcosa che non andasse in lui, beh, probabilmente qualcosa c'era. Dovevo solo il modo di tirarglielo fuori.

Pensai a diversi tipi di torture, ma nessuna di queste mi sembrava parecchio efficiente. Questo perché, ad aggravare la situazione, Caleb non era praticamente mai in casa, se non per dormire, tanto che, quando lo vedevo girare per le stanze la mattina presto mi chiedevo se stesse per uscire o se fosse appena tornato a casa. Per non parlare del fatto che una volta era perfino sparito per una settimana. Anche la mamma si era preoccupata, ma, dopo alcune rassicurazioni al telefono, aveva deciso di lasciar perdere, convinta che fosse stato qualche capriccio di un adolescente ribelle. Eppure questa teoria non mi convinceva. Caleb mi stava nascondendo qualcosa.

Mi infilai una felpa e un paio di jeans, pronta al massimo per la ricerca del fratello perduto. Non fu facile trovarlo -quel piccolo bastardo era bravo a nascondersi tra la gente-, ma dopo accurate ricerche e informazioni carpite dalle vecchiette pettegole del quartiere, riuscii a trovarlo. Lo ritrovai in un vicolo decisamente poco raccomandabile, a parlare con una parete. Mi domandai se si fosse completamente rincoglionito tanto da mettersi a discutere pure con i muri, quando i miei occhi caddero su una porta socchiusa. Chi c'era lì dietro?

«Quindi?» domandai, arrivandogli alle spalle.

Lui fece un salto dalla paura e si portò una mano al petto. «Cecilia, ma che cazzo fai?» mi urlò contro.

«Con chi stavi parlando?» lo incalzai. Aveva la faccia colpevole, la stessa che faceva quando nostra madre lo beccava rubare le caramelle alla vicina.

Caleb si ricompose rapidamente, ritornando al suo sguardo impassibile. «Con nessuno» buttò lì.

«Ah beh, allora devo essere diventata una pazza che si immagina le cose...» constatai «perché ti ho visto, Caleb»

«Tu non hai visto un bel niente!» sbottò lui, afferrandomi per le spalle e spingendomi contro il muro.

Nella mia testa suonò un campanello dall'allarme che lanciò subito il segnale alle mie gambe, che presero a tremare. «Ma che ti sta succedendo?» addolcii il tono «Questo non è mio fratello» sussurrai a quello che doveva essere il suo alter ego malvagio. Lui sembrò pentirsi all'istante di quell'azione impulsiva, perché mi tolse subito le mani di dosso.

Dalla sua maglia vidi sbucare una collana, dove una pietra viola come ametista brillava alla luce del sole. Allungai la mano per afferrarla, ma lui si allontanò con decisione. «Non sono affari tuoi, Cecilia!» mi rimproverò.

«In che guaio ti sei cacciato, questa volta?» domandai. Era chiaro come il Sole che avesse combinato qualcosa di sbagliato.

Lui scosse la testa. «Non posso dirtelo» tagliò corto.

Gli mollai un pugno sulla spalla. «Sono tua sorella, cazzo!» gli ricordai «Devi dirmelo! Ci siamo sempre raccontati tutto, si può sapere cosa è cambiato?!»

«É pericoloso» disse solamente.

Sbuffai spazientita. Perché diavolo non parlava e basta, invece che continuare a tergiversare?! «Caleb, non me ne frega assolutamente nulla» pronunciai a denti stretti «Dimmi che diavolo sta succedendo»

𝐄𝐍𝐄𝐌𝐈𝐄𝐒 [𝐈𝐄] || ᴠᴏʟᴜᴍᴇ 1Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora