Capitolo 1

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Non ho mai creduto alla cattiva sorte ma questa giornata sta iniziando ad assumere contorni davvero inquietanti. Stamattina non ho sentito la sveglia. Cosa decisamente assurda, ma sfortunatamente possibile, dal momento che la mia segretaria Tere ha insistito tanto perché comprassi quel genere infernale di sveglia che ha la presunzione di svegliare senza traumi. Rumori come grilli e l'acqua che scorre dovevano aiutarmi nel risveglio e farmi arrivare in ufficio senza avere la solita tensione, cosa che effettivamente succede ma sfortunatamente questo accade senza mai essere in perfetto orario. Seconda cosa, non meno importante, nel momento in cui ho realizzato il ritardo che stavo accumulando per colpa delle coperte calde, sono piombata giù e mi sono inciampata nel tappeto appena ritirato dalla lavanderia sbattendo maldestramente il mignolo nell'unico angolo della camera da letto, ferendomi. Ora quindi il mio favoloso tappeto color panna è nuovamente macchiato da una piccolissima goccia di sangue, ma comunque ben visibile. Questo mi ha portato a pormi la sacrosanta domanda di perché ho scelto un colore simile per un tappeto sul quale inesorabilmente avrei camminato sopra, la risposta è semplice e piuttosto chiara: Un costoso arredatore e la moda. Un avvocato di successo come me doveva avere una casa impeccabile, o così aveva detto, ed è finita che adesso ho una casa impeccabile certo ma che non rispecchia assolutamente ciò che sono. Questo pensiero mi ha accompagnato fino alla cucina quando, ancora dolorante, ho cercato di prepararmi un caffè forte che sarebbe stata la prima consolazione di una giornata che si prospettava già dal primo istante molto difficile. Tuttavia, come è facile immaginare, ho finito il caffè in cialde. Giornate così iniziano male e finiscono peggio. Tuttavia ho imparato a non scoraggiarmi, mi sono vestita per andare in tribunale. Un tailleur nero con una camicia azzurrina, capelli raccolti in una coda alta e un filo di trucco per mascherare una leggera stanchezza che mi porto ormai dietro da anni. Tacchi a spillo, ai quali non riesco a rinunciare nemmeno con il dolore al mignolo, valigetta con i documenti e cellulare. Sono uscita di casa in fretta e furia, controllando sistematicamente l'orologio da polso ogni cazzo di minuto e mi sono subito resa conto che mai sarei arrivata in orario. Nel frattempo il mio cellulare ha iniziato a squillare come un pazzo e ho avuto modo di leggere il nome della mia assistente Daniela Nuñez, detta Bambi, tutte le sante volte. Ero in ritardo, prendere le sue chiamate sarebbe stato come sottolineare l'ovvio. Appena scesa in strada mi ci è voluto mezzo secondo per accorgermi che di un taxi libero non ce n'era nemmeno l'ombra, ma questo è il rischio quando si abita nell'Easy Village. Cose che non capitano mai nell' Upper East Side, dove vive tutta la mia famiglia da generazioni ormai. Con un atto di ribellione scelsi di abitare in una zona totalmente diversa della città e con la stessa determinazione oggi ho optato per l'unica scelta possibile che mi ha portato proprio qui davanti al tribunale: prendere l'autobus. Nel momento esatto in cui però sono arrivata alla mia fermata, sono scesa da questo container con le ruote, mi sono inciampata in una piastrella smussata e il mio cellulare ha fatto un volo di cinque metri più avanti, rompendosi. Ho raccolto quello che ne è rimasto, salgo velocemente le scale in marmo bianco e mi precipito dentro con un ritardo oggettivamente fastidioso persino per un avvocato, e non stiamo parlando di una categoria nota per essere puntuali al secondo. Non indugio oltre, anzi mi affretto tanto da sentire il ticchettio dei tacchi sul pavimento talmente tirato a lucido da potermici specchiare. Apro la porta dell'aula, già rossa in viso, e noto immediatamente la giudice Norton, già piuttosto seccata, puntare immediatamente il suo sguardo glaciale su di me e posso già intuire che ha tutta l'intenzione di farmela pagare. Meno male che questa seduta è soltanto l'ufficializzazione di un patteggiamento deciso da tempo, altrimenti sarebbe stato un suicidio.

"Oh bene, la signorina Ferreiro ci degna della sua presenza!" Tuona la voce della donna, quasi oltraggiata, appoggiandosi meglio alla sedia.

"Chiedo scusa, Vostro Onore" provo a dire cercando di mantenere il controllo della mia respirazione, ignorando il fiatone per la corsa su questi dannati trampoli e il dolore al piede che si sta sicuramente gonfiando.

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