Avevo tre anni ed ero nella gabbia della camera del direttore dell'orfanotrofio, stavo rivivendo il primo stupro della mia vita.
Entrò il direttore che si diresse verso di me, tremavo dalla paura mentre mi faceva uscire, subito mi fece sedere sulle sue ginocchia e iniziò ad accarezzarmi la testa per tranquillizzarmi "shhh piccolina, non devi avere paura" una sua mano mi avvolse la vita e mi strinse a se mentre mi depositava dei bacini delicati sulla testa, poi scese sul resto della faccia e proprio in quel momento mi mise a cavalcioni su di lui stringendomi i fianchi con le mani per tenermi premuta contro il suo petto, poi le sue labbra si appoggiarono sulle mie.
Non mi preoccupai, avevo visto dei genitori salutare così dei bambini e lo presi per un gesto paterno. Poi però una delle sue mani mi finì sulla nuca la sua lingua si fece strada tra le mie labbra finendo in gola, venni scossa da un conato di vomito, il direttore ci capovolse e mi mise sulla schiena tenendomi contro il letto si allontanò e mi guardò negli occhi.
I suoi occhi brillavano malvagi, assomigliavano agli occhi dei miei genitori quando si guardavano prima di avere un momento intimo, non era uno sguardo d'amore, era uno sguardo di fame, pura fame primordiale.
Una strana follia risiedeva in quegli occhi che prima mi guardavano con simpatia e allegria.
Una delle sue mani bloccò le mie sopra la testa e l'altra mi si infilò sotto alla gonnellina carina che avevo deciso di indossare quella mattina.
Sentii le sue dita infilarsi in mezzo alle mie gambe e iniziare a massaggiarmi in circolo in un punto determinato, ero spaventata perché un gesto che avrebbe dovuto portarmi piacere mi faceva invece paura "d-direttore, cosa sta facendo? La prego la smetta! "ma lui rise beffardo, poi si chinò su di me e accostò le sue labbra al mio orecchio "ti assicuro che mi sono trattenuto anche troppo, sono giorni che muoio dalla voglia di farlo" poi cominciò a succhiarmi la pelle del collo e a morderla, le lacrime mi pungevano gli occhi "l-la prego non lo faccia, non voglio!".
Le mie parole fecero solo esaltare di più il direttore che senza remore mi strappò i vestiti di dosso lasciandomi nuda e tremante sul letto mentre si spogliava, non distoglieva lo sguardo da me, mi guardava come un lupo affamato guarderebbe un agnellino e questo bastava a tenermi immobilizzata lì.
Il suo corpo grasso e flaccido in quella situazione non lo faceva sembrare più come un Babbo Natale senza barba.
Quando fu nudo e tornò da me mi sembrò come una massa informe di carne che mi avrebbe schiacciata con una salsiccia in mezzo alle gambe durissima che era drizzata minacciosamente verso di me.
Malamente mi girò a pancia in giù, prese le mie braccia e me le girò dietro la schiena tenendomele ferme con una mano.
L'altra mi afferrò i fianchi e mi tirò su il sedere mentre il mio busto era premuto contro il materasso.
Capii cosa volesse farmi e iniziai a dimenarmi piangendo "fermati! Basta! Ti prego non lo fare!" era come se le mie grida lo eccitassero ancora di più perché ringhiò soddisfatto quando il suo membro mi penetrò nel sedere.
Sentii qualcosa di duro entrarmi dentro e gridai dal dolore, sentii che era entrato tutto dentro di me perché iniziò ad entrare e uscire e ad ogni colpo i suoi testicoli sbattevano contro il mio sedere ancora rosso e dolorante a causa dei colpi di quella mattina, sentivo il sangue colarmi lungo le cosce e gridai.
Gridavo sperando che Tatiana o chiunque altro arrivasse e mettesse fine a tutto, gridavo perché cento frustate sarebbero state meglio di quellatroce dolore.
Poi sentii un grugnito soddisfatto e qualcosa di caldo mi colò lungo le cosce oltre al sangue.
Il corpo che mi aveva tenuta ferma si sollevò lasciandomi andare, le mani del mio aggressore si fecero più gentili e mi girarono a pancia in su, il mio viso era devastato dalle grida e dalle lacrime, vidi che i miei polsi erano due lividi per colpa della stretta ferrea dell'uomo, mi accarezzò dolcemente la guancia "quando saremo soli mi chiamerai Maxim, mia bellissima Tisha" poi la sua bocca coprì di nuovo la mia mentre le sue mani mi accarezzavano.
Non riuscivo più a parlare, la gola mi faceva male per via delle urla e tutto il mio corpo era dolorante a causa della violenza appena subita.
La bocca di Maxim scese sul mio collo leccando e succhiando mentre le sue mani mi tenevano le cosce ferme, era ancora tra di esse, lentamente la sua bocca trovò la strada per il mio centro mentre la frustrazione e l'umiliazione mi rigavano il viso sotto forma di lacrime e il mio corpo veniva scosso dal disgusto di sentire la lingua di un uomo di quarant'anni su di me.
Quando la sua lingua si insinuò dentro di me i miei singhiozzi peggiorarono e anche i brividi, leccò e succhio il mio centro senza badare al mio pianto e alla mia tristezza.
Dopo che mi ebbe leccata per bene tornò su, mise le mie gambe contro il suo busto e mi asciugò le lacrime baciandole e accarezzandomi le guance "non devi preoccuparti piccola mia, non cè bisogno di piangere, nessuno ti farà del male, da ora in poi sarà questa la tua punizione e nessuno a parte noi due lo saprà così i tuoi compagni non potranno accusarti di essere la cocca del professore" il terrore si insinuò sul mio viso e trasparì dai miei occhi ma lui non se ne accorse neanche, era come se fosse fuori di testa.
Mentre continuava a guardarmi negli occhi mi baciò con forza e passione e poi, senza staccare il suo sguardo dal mio mi penetrò lentamente per farmi sentire ogni centimetro che sprofondava dentro di me "sei mia piccola, da ora in poi sei solo mia e di nessun altro" gridavo più forte che potevo nel tentativo di sfogare tutto quel dolore, il dolore per l'unica cosa che nessuno avrebbe potuto rubarmi, quella cosa che era mia facoltà e solo mia facoltà donare a colui che io avrei ritenuto meritevole di averla: la mia verginità.
Con un colpo secco mi riempì del tutto con la sua mastodontica erezione, tanto che la sentivo stuzzicarmi persino le interiora.
Mi guardava come si poteva guardare un oggetto di propria proprietà e credo che fosse proprio quello il senso, rivendicare il mio corpo come suo, lo sentì prendere possesso del mio corpo e possederlo con violenza, visto che mi stuzzicava anche il clitoride sentii i miei succhi che colavano lubrificando la sua erezione che entrava e usciva con violenta passione e possessione dal mio buco strettissimo.
Ogni colpo era come se il mio corpo fosse stato aperto con un coltello e intanto le sue mani e la sua bocca lasciavano lividi in ogni parte del mio corpo che riuscivano a raggiungere.
Poi, mentre era ancora dentro di me tirò fuori un coltellino, mentre spingeva dentro di me facendo colare un misto di sangue e succhi dall'unione delle nostre intimità mi tenne ferma la testa scoprendomi la spalla e, nella pelle che univa collo e spalla incise qualcosa con il coltello, persi il fiato per il dolore e mi accasciai completamente impossibilitata ad oppormi a quella violenza.
Vidi che guardava soddisfatto la sua opera prima di spostarsi sul mio viso e appropriarsi ancora una volta delle mie labbra "ora marchierò anche il resto di te" mi sussurrò a fior di labbra prima di spostarsi sul mio petto.
Avevo solo tre anni e non avevo ancora il seno ma proprio accanto ai capezzoli lui fece un'incisione, non gridai e non mi mossi, a cosa sarebbe servito? Ormai mi aveva già violata, nessuno mi avrebbe aiutata o lo avrebbe fermato, inoltre anche volendo non avevo la forza per oppormi ad un uomo adulto e per di più pesante come un macigno.
Così lasciai che incidesse anche il mio culo e le mie parti intime, il sangue colava abbondante per il taglio ma non ci facevo più neanche caso.
Quando ebbe finito mi guardò soddisfatto e con un ego così gonfio che pensavo sarebbe scoppiato, mi baciò un'ultima volta ficcandomi la lingua in gola mia poi mi prese in braccio e mi rimise nella gabbia nuda "ora riposa cucciolotta, domani mattina sarà faticoso per te" infine ha chiuso lo sportello della gabbia a chiave.
Mi svegliai di soprassalto con il fiatone, quella era la prima volta che rivivevo quei ricordi, non mi era mai successo prima.
Ansimavo per il terrore di quei sogni, guardai l'orologio e vidi che erano le cinque del mattino, ormai era quasi mattina e non avrebbe avuto senso dormire ancora, andai all'armadio e presi dei pantaloncini della tuta e una maglietta, misi delle scarpe da ginnastica e uscii sul terrazzo.
Una volta li vidi che eravamo solo al primo piano dal giardino così saltai giù, una volta nel giardino, che sembrava più un parco, iniziai a correre come una matta, nel tentativo di scacciare quei ricordi terrificanti.
Corsi per ore finché non sentii i muscoli come spaghetti, a quel punto mi arrampicai sull'albero davanti alla mia finestra e ritornai dentro, riguardai l'orologio, erano le sette e mezza, mi rimisi il pigiama e tornai a letto fingendo di dormire.
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SPERDUTA NELLA NEVE
ActionBuio. Vedo davanti a me solo oscurità macchiata da chiazze rosso cremisi e contornata da una sensazione di dolore e umiliazione. Tisha ha tre anni quando viene mandata in un orfanotrofio dai suoi genitori, fino a quel momento ha conosciuto solo dolo...