TISHA

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Quando fui di nuovo da sola mi sentii male, non potendo piegarmi mi vomitai addosso.

Lacrime iniziarono a scivolare al mio controllo.

Essere violentate era orribile, mi sentivo impotente e umiliata, come quando ero piccola.

Volente o nolente dai sei anni in poi avevo sempre accettato di cedere il mio corpo per ottenere qualcosa, non era stupro, non nel vero senso della parola.

Non mi ero mai sentita così male nel guardare il mio corpo.

In fondo quando avevo tre anni non potevo rendermi conto appieno dell'orrore dello stupro, ero troppo piccola.

Ora invece avevo diciotto anni, sapevo molto sul sesso, avevo provato cosa volesse dire farlo in maniera consenziente.

In quei quattro anni avevo faticato lavorando su me stessa per ricostruire la mia dignità incrinata e danneggiata, anche se non distrutta perché in fondo c'era uno scopo valido a quella sofferenza.

Ora era completamente distrutta, mentre guardavo il mio corpo pesto e lurido, con l'odore di vomito che mi riempiva le narici vomitai di nuovo.

Ero di nuovo quella bambina spaventata e usata, ma questa volta non c'erano state coccole o carezze, era solo pura violenza.

Nemmeno nella scuola della mafia erano stati così crudeli, non gli conveniva rovinare il mio corpo e anche se non lo facevo con piacere non andavano mai troppo oltre i limiti.

Al capo invece non interessava come si sarebbe ridotto il mio corpo e nemmeno a quegli uomini, ero quasi sicura che quel giorno ci erano andati leggeri rispetto al solito.

Forse non avevano il permesso di rompermi ossa o cose di questo genere.

Potevano però picchiarmi, lasciarmi cicatrici, tagli, non gli importava che fossi pulita e profumata.

Guardandomi in quello specchio mi chiesi a che cosa fosse servito allenarsi come un'ossessa per anni, in quel frangente le mie capacità da combattente numero uno della mafia italiana non sarebbero servite a nulla.

Nemmeno Alessandro nelle sue punizioni mi aveva fatto così male.

Per anni avevo cercato di costruirmi un futuro che fosse ben lontano da quella degradazione e quella merda, eppure tornavo sempre indietro, tornavo sempre lì al punto di partenza.

Alzai gli occhi al cielo per scacciare le lacrime "non posso arrendermi, prima o poi avrò la mia vendetta, come l'ho avuta su tutti gli altri, presto me la pagheranno cara" mi ripetei nel tentativo di tirarmi su di morale "riuscirò a scappare, me la caverò da sola e porterò a termine la missione, non permetterò che la mia famiglia si preoccupi per me" continuai a sussurrare.

Ero appena riuscita a calmarmi quando una gran secchiata d'acqua gelida mi calò addosso lavandomi per così dire dallo sperma, dal sangue e dal vomito, il tutto finì a terra.

Purtroppo, la mia rabbia piano piano si spense, con il passare dei giorni diventavo sempre più debole nel corpo, continuavo a ripetermi che dovevo farmi forza, trovare una via d'uscita, ma per quanto cercassi non ci riuscivo.

Dormivo a stento a causa dei continui stupri da parte di quei sei armadi.

Quando avevano finito con me mi legavano lì, l'acqua gelata mi sciacquava, le catene mi facevano cadere a terra ed ero costretta a dormire in mezzo all'acqua sporca, ero costretta a fare pure i miei bisogni lì e spesso e volentieri anche quei sei bastardi si divertivano a sputarmi in faccia e farmi la pipì addosso o in bocca.

SPERDUTA NELLA NEVEDove le storie prendono vita. Scoprilo ora