TISHA

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Vegliavo Marco senza spostarmi dal suo letto nemmeno un solo millimetro, non potevo pensare di lasciarlo solo, non quando si era ridotto in quello stato solo per salvare mia madre.

Per otto giorni la situazione non migliorò.

Bruciava sempre per la febbre e solo grazie agli antidolorifici, non sentiva il dolore delle fratture.

Kevin mi portava i pasti li altrimenti non avrei toccato cibo e non vedevo nessuno, solo il medico che ogni giorno veniva a visitare il mio amico.

Non riuscivo a capire come mai avevo così tanta paura di perderlo.

Nel nostro mondo era normale che i soldati morissero in missione, anzi, era già stato un miracolo che ancora fossero tutti vivi.

Avrei dovuto averci fatto il callo, invece se pensavo di non vedere i magnifici occhi verde bosco di Marco, o sentire la sua voce, il suo profumo o la sua risata il mio cuore faceva male come se mi avessero appena pugnalata ripetutamente.

All'ottavo giorno però mi sembrava che scottasse di meno e chiamai subito il medico, lo visitò e sorrise "bene, ora c'è speranza che guarisca, ma non è ancora del tutto fuori pericolo, potrebbe ancora avere una ricaduta" mi comunicò.

Fui così sollevata da quella notizia che mi misi a piangere con la testa appoggiata alla pancia del ragazzo che ancora non riprendeva i sensi.

Piansi fino a quando non fui sfogata del tutto e poi ripresi a vegliarlo e curarlo.

All'improvviso, dopo molte ore lo sentii agitarsi nel sonno, poi gridò "ti prego Tisha! Non lasciarmi da solo! Per favore!" arrossii di colpo, stava sognando me? Vidi delle lacrime iniziare a scendere sulle sue guance, doveva essere un incubo terribile.

Non riuscivo a rimanere lì a guardarlo così gli asciugai le lacrime e usai la voce più dolce che potevo fare per dirgli "shhh, non preoccuparti, sono qui e non andrò da nessuna parte" dissi senza staccare le mani dal suo viso.

Sentii che si rilassava e sul viso gli spuntò un sorriso sereno, ma ancora non si svegliò.

Per giorni riflettei sul motivo per cui in un incubo avrebbe dovuto dire il mio nome, ripensai alle sue parole, sembrava che lo stessi lasciando.

Ma lasciando in che senso? Non pensavo che lui avrebbe potuto decifrare meglio di me quello che provavo.

Allora forse l'avevo abbandonato come amica? A furia di pensarci rischiai di fondermi il cervello, non mi ci raccapezzavo più in tutto quel dannato mistero.

Dovettero passare altri sette giorni prima che la febbre passasse del tutto.

Mi ero appisolata con il viso appoggiato al letto e fui svegliata da una debole voce "T-Tisha?" chiese incerta.

Sobbalzai mettendomi seduta "M-Marco, ti sei svegliato?" quando vidi i suoi occhi aperti mi sembrò di rinascere ed ero contentissima, ma repressi la voglia che avevo di saltargli addosso per abbracciarlo e fargli capire quanto il suo gesto fosse stato stupido e anche quanto gli ero grata per questo.

Anche se avevo capito quasi subito che i miei genitori erano morti una settimana prima, l'avevo intuito dagli sguardi che tutti mi lanciavano, non potevo fare a meno di apprezzare il suo sacrificio ed essere contenta di sapere che almeno lui era sopravvissuto.

Mi alzai, e mi dileguai in fretta senza una parola, volevo andarmene prima che capisse come ero ridotta e anche che l'avevo accudito in quel modo.

Anche se quello strano fuoco dentro avesse avuto un significato non potevo permettermi di ascoltarlo, dovevo reprimerlo a tutti i costi, altrimenti qualcuno avrebbe sofferto, Marco era il mio più caro amico e quello sarebbe stato per il resto delle nostre vite.

SPERDUTA NELLA NEVEDove le storie prendono vita. Scoprilo ora