VERI AMICI

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Giacomo

Ero contento che Tisha fosse tornata, molto contento.

Il nostro amico Kevin credeva che a me, Vittorio e Andrea non importasse più di tanto di lei, ma in realtà non era così, Vittorio era legatissimo a sua cugina, però aveva fiducia in lei e voleva lasciarla libera di fare le sue esperienze senza manifestare inutili preoccupazioni come invece era solito fare Kevin.

Per quanto riguarda ma e Andrea eravamo solo due ragazzi normali e, non avendo sorelle o cugine non avevamo proprio nessuno da dover difendere.

Eravamo fratelli gemelli, i nostri genitori si erano sposati in un matrimonio combinato, non si amavano certo, però si volevano un gran bene, provavano una grande fiducia e rispetto reciproci, nostra madre era la classica casalinga della nostra società.

Anche se la sua autorità in casa era assoluta era tenuta del tutto all'oscuro di tutto il resto.

Mio padre non l'aveva mai tradita, ma prima del matrimonio era un vero e proprio don Giovanni, come me e Andrea.

Io ero il più tranquillo tra i due, mi accontentavo di poco, Andrea al contrario era ambizioso, voleva diventare sempre il migliore, lui era un asso nel combattimento, mentre io lo ero nell'informatica.

Conoscevamo Kevin, Vittorio e Marco sin da piccoli e siamo subito andati d'accordo, soprattutto perché abbiamo tutti capacità e personalità differenti, così nessuno si è mai sentito superiore rispetto all'altro.

Anche Kevin e Vittorio, nonostante fossero considerati pressoché dei principi nella nostra società non si erano mai dati delle arie, ne avevano mai preteso che tutto gli fosse dovuto.

Comunque, io e Andrea avevamo praticamente zero empatia con il genere femminile, prima di Tisha non avevamo mai avuto un'amica che non fosse con benefici.

Quando l'abbiamo conosciuta ci è sembrata molto sexy e per parecchi mesi era tutto quello che guardavamo, ma dalla vacanza d'addestramento abbiamo smesso di vederla così.

Le sue capacità ci hanno sorpresi, persino Andrea era contento di essere secondo a qualcuno, lei era praticamente la migliore in qualsiasi cosa.

Quando ho sentito la sua storia ne sono rimasto molto sorpreso, ma ho capito come mai avesse quelle capacità fuori dal comune, non ho empatizzato con lei più di tanto però, in fondo io non potevo sapere cosa significasse essere trattati in quel modo.

Ho potuto avere un assaggio di quel trattamento solo all'addestramento, quando avevamo sedici anni, lì non c'era famiglia o lignaggio, eravamo tutti uguali e dovevamo combattere duramente per meritarci il rispetto degli altri, i novellini erano presi di mira dai più grandi.

Eppure, Tisha non si è mai arresa, era come se gli insulti e le frecciatine le passassero attraverso, come se non li sentisse nemmeno e, quando qualcuno provava a farle del male finiva sempre in infermeria con delle ferite.

Io e Andrea ovviamente ci saremmo volentieri fatti un giro con lei, ma ci aveva fatto capire da subito che non era un'opzione, così ci siamo limitati a vederla solo come un compagno d'addestramento.

Si era guadagnata la nostra stima e il diritto, secondo noi, ad essere trattata come un ragazzo, quindi era così che la trattavamo, da pari, come se fosse capacissima di cavarsela da sola, non eravamo i tipi da consolare, ascoltare e dare buoni consigli, nemmeno con gli altri nostri amici lo facevamo.

Quando però l'avevamo vista ridotta in quello stato dopo la prigionia avevamo iniziato a dubitare di esserci comportati nel modo giusto.

Negli ultimi quattro anni eravamo preoccupati, come tutti, ma abbiamo preferito non angustiare nessuno con le nostre preoccupazioni e tenercele per noi.

Quanto fu tornata ci tranquillizzammo, aveva un che di diverso, persino noi lo capivamo ed eravamo contenti, era dal nostro primo incontro che non la vedevamo così allegra.

In quei quattro anni erano cambiate molte cose, anche io e Andrea eravamo cresciuti e mi ero accorto che Marco era il più strano, durante le serate li alla villa spariva misteriosamente e spesso, quando credeva di essere solo era immerso nei suoi pensieri.

Inoltre, appena lui e Tisha si erano guardati erano rimasti imbambolati ed erano diventati rossi come peperoni.

Avevo intuito che era successo qualcosa prima della partenza di lei, ma non avevo voluto impicciarmi, in fondo erano affari loro, non miei.

Insomma, l'atteggiamento mio, di Andrea e di Vittorio nei confronti di Tisha era quello di lasciarla pressoché in pace, a prendere le sue decisioni per conto suo senza interferire.

Eppure negli anni qualcosa era cambiato dentro di me, il mio modo di vedere Tisha era cambiato, appena avevo visto quel sorriso radioso il mio cuore aveva ricevuto uno scossone, avrei dovuto capire al più presto il perché.

Marco

Appena mi vidi Tisha davanti non potei fare a meno di congelarmi.

Era bellissima, i suoi capelli erano di nuovo lunghissimi, la sua pelle era immacolata, tranne le cicatrici, non c'era sangue, non cerano segni di punti di sutura, né lividi.

Ma la cosa che mi sorprese di più erano i suoi occhi, erano pieni di serenità, felicità e speranza, era davvero raggiate.

Non l'avevo mai vista così.

Il suo stile era meno gotico di come ricordavo ma era sempre bellissima, a prescindere da cosa indossasse.

Anche lei rimase imbambolata e, quando riuscimmo a tornare in noi arrossimmo vistosamente.

Non riuscii a percepire cosa pensasse di tutte quelle cicatrici ma, secondo me, le donavano molto, le davano ancora di più un aspetto da dura, erano il segno di quanto fosse stata forte.

Gli anni senza di lei per me furono difficilissimi, continuava a rimbombarmi in testa i ricordi con lei, soprattutto l'ultima conversazione.

Ero veramente sereno solo quando giocavamo con lei ai videogiochi, per il resto del tempo mi dedicai esclusivamente ad allenamenti e al lavoro da soldato.

Ero così occupato che i miei amici e i miei genitori iniziarono a preoccuparsi per me.

In realtà a me non interessava se mi sfinivo, mi mancava Tisha, terribilmente, mi mancava ogni cosa di lei, l'unica cosa che avevo per ricordarmela erano gli annuari del liceo in cui lei era presente quasi sempre, non solo come ragazza più studiosa, ma anche come più atletica.

Non riuscivo nemmeno più a farmi le puttane.

In realtà ero terribilmente confuso e non ne avevo parlato a nessuno, non capivo perché, ogni volta che cercavo di portarmi a letto una, quello che vedevo era solo lei, non avendola mai vista nuda potevo solo immaginarmela, cioè una volta l'avevo vista nuda, ma non credo che conti visto che era coperta di schifezze, maleodorante e mezza morta in quella cantina, non avevo nemmeno guardato il suo corpo e non l'avrei mai fatto.

Avevo un piccolo sentore di cosa mi stesse succedendo, ma scacciavo quel pensiero di continuo, dicendomi che era la mia migliore amica, che era la cugina dei miei migliori amici, che aveva già passato l'inferno e quindi era off-limits.

Ma inevitabilmente ogni santa notte il suo viso mi ballonzolava nella mente e ogni notte la sognavo, sogni che erano fatti dei ricordi del passato.

Spesso mi chiedevo come si sentisse nel mondo normale, ridevo quando pensavo a lei che cercava di trattenersi dall'allenamento, fino a quel momento si era allenata sempre, anche con la febbre alta.

A volte mi chiedevo se sentisse la nostalgia dell'Italia e di noi.

Insomma, in quei quattro anni la pensai più di quanto io ci tenga ad ammettere.

Adesso che era tornata ero fermamente intenzionato ad impedire che potesse soffrire ancora, non avrei potuto sopportare di rivederla in coma o gravemente ferita, era successo troppo spesso.

SPERDUTA NELLA NEVEDove le storie prendono vita. Scoprilo ora