TISHA

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L'alba mi sorprese ancora sull'albero, non avevo sonno e non avevo chiuso gli occhi nemmeno per un secondo, il sole sorgeva illuminandomi ma sapevo che avrei dovuto aspettare parecchio prima di sentire dei rumori in casa, immaginavo che i miei cugini fossero completamente addormentati ancora.

Agilmente saltai dall'albero alla mia camera e da lì uscii per girare nella villa.

Dopo una buona mezzora mi trovai in una palestra sotterranea, c'era tutto quello che poteva servire per l'addestramento di un serial killer, tra tutti gli attrezzi mi avvicinai ai pugnali che avevano davanti dei manichini, erano pugnali normali, non come quelli che avevo io ma li presi in mano.

Mi misi in posizione e li scagliai ai manichini, li beccai tutti alla gola, andai a riprenderli e ripetei l'esercizio molte volte ma puntando punti dei corpi diversi.

Dopo un'ora buona vidi con la coda dellìocchio Pietro "ciao zio, mi stai fissando già da un po'" lui mi sorrise e mi guardò lanciare il coltello successivo che si conficcò in mezzo alle gambe del manichino.

Percepii un sorriso soddisfatto da mio zio e mi si avvicinò "sei molto brava a lanciare i coltelli, l'ho notato anche l'altro giorno, ma quando lanci il coltello devi esercitarti per prendere meno la mira e lanciare direttamente" prese un coltello dalla cintura e mentre si avvicinava lo lanciò al manichino quasi senza guardare e lo colpì alla gola.

Mi stupì molto la sua maestria ma cercai di contenere il mio entusiasmo "pensavo che gli uomini preferissero le armi da fuoco" lui mi sorrise con allegria e ripose i coltelli al loro posto "per gli altri è così ma io non sono come gli altri" rimasi in silenzio a riflettere sulle sue parole.

Poco dopo mi guardò sempre sorridendo "sono rimasto molto impressionato dalle tue abilità l'altro giorno sai? Non avevo mai conosciuto una ragazza con così tanto talento" quelle parole però non mi fecero sentire meglio.

Nascosi bene la mia reazione con un sorriso un pochino arrogante "lo credo bene, voglio bene alle mie zie e cugine ma sono davvero delle principesse, non c'è nulla di male ad essere in grado di combattere come un uomo" mio zio scoppiò a ridere tenendosi la pancia, in quel momento mi sembrava un uomo come tanti, non il miglior torturatore della mafia italiana.

Sogghignò "è vero, di sicuro non brillano particolarmente come te ma viene insegnato a tutti a difendersi nella mafia, un minimo devono impararlo anche le donne, qui è o vivi o muori, non ci sono modi per uscirne o per evitarlo, è o la propria vita o quella degli altri e così la vita degli altri conta meno di zero, ovviamente tranne quella della propria famiglia, sia io che Tommaso daremmo la vita per le nostre famiglie e anche per te se fosse necessario" il suo sguardo diventava mano a mano più serio mentre pronunciava quelle parole.

Mi misi a giocare con il coltello lanciandolo in aria e riprendendolo "io non ho bisogno di essere difesa, credo di averlo fatto capire bene" mio zio sospirò "si è vero, sei molto brava, ma in quel caso i tuoi nemici non stavano cercando di ucciderti, per cavartela in un combattimento con avversari molto più forti di te che vogliono ucciderti devi ancora allenarti molto Tisha" abbassai il capo.

Sapevo di essere tutt'altro che una maestra del combattimento, sapevo cavarmela da lontano e sfruttando sorpresa e debolezze del mio avversario ma avevo ancora tanta strada da fare.

Scossi la testa, non dovevo pensare a combattere, dovevo allontanarmi da lì "zio, vado in camera mia, immagino che tra poco sarà pronta la colazione e mi devo cambiare, a dopo" me ne andai con calma ma appena fui in camera mia presi uno dei miei cuscini e lo lanciai contro il muro con tutta la forza che avevo, dovevo smetterla di pensare che queste capacità fossero una cosa buona o giusta, dovevo iniziare a comprendere quanto fosse orrido e sbagliato divertirsi a far del male agli altri, anche se ci avevano fatto del male a loro volta, doveva entrarmi in testa a qualunque costo.

Mi alzai determinata a non mostrare il mio lato violento quel giorno, soprattutto perché anelavo di nuovo la vita che avevo provato prima di partire per la scuola.

Aprii l'armadio e indossai un abito nero che arrivava alle ginocchia, di tessuto molto attillato con calze a rete e scarpe con la suola altissima, ormai erano le otto e mi alzai per andare in sala da pranzo, ma non riuscii ad uscire, la vergogna mi impedì di aprire la porta e mi sedetti di nuovo sul letto.

Decisi di non scendere a colazione, non me la sentivo, volevo solo nascondermi, fare in modo che tutti dimenticassero quello che avevano sentito sul mio conto.

Verso le dieci sentii bussare alla porta e la maniglia girò, ma avevo chiuso a chiave così la voce della zia Margherita parlò da dietro la porta "Tisha, tesoro, aprì, come mai non sei scesa? Ti ho portato la colazione" ma non aprii quella porta, non mi andava, non mi importava che il mio corpo fosse tornato ad essere troppo magro e che avessi bisogno di mangiare.

Dopo un po la zia se ne andò portandosi via il vassoio.

Scossi di nuovo la testa, ma cosa mi prendeva?

Da quando mi facevo toccare da quello che gli altri pensavano di me? mi guardai allo specchio e mi sorrisi "sono una puttana forse ma sono sempre stata forte, non crollerò per nessuno, farò finta di essere solo leggermente più stanca del solito e senza appetito" dal pranzo sarei stata quella che ero sempre stata con loro.

SPERDUTA NELLA NEVEDove le storie prendono vita. Scoprilo ora