TISHA

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Quando l'uomo uscì dalla mia cella rimasi sola nell'oscurità, non piansi e non ero spaventata, quello era nulla rispetto a quello che avevo dovuto fare in passato per sopravvivere.

L'importante per me era mantenere integra la dignità che avevo ricostruito con fatica in quei quattro anni.

Non so quanto tempo passò prima che la porta si riaprisse e spuntò l'uomo con due sgherri accanto a lui.

Mi fece cenno di alzarmi "è ora, muoviti" il suo tono era duro e freddo.

Mi alzai e mi diressi verso di lui, camminammo assieme fino ad una porta con doppia anta da cui usciva un gran frastuono.

Entrammo e mi trovai davanti ad un ring con una gabbia in metallo arrugginito attorno, venni scortata dal mio lato dall'uomo che mi sussurrò all'orecchio "il tuo nome di battaglia è Tigre" annuii come segno di aver capito.

In quel momento il presentatore annunciò "oggi abbiamo sul ring l'assassina di donne alla mia destra, campionessa di questo ring, alla mia sinistra invece la Tigre, una giovane esordiente! Quale dei due felini verserà più sangue stasera?!" gridò a pieni polmoni.

Osservai la donna davanti a me, era qualche anno più grande, ma vedevo che di massa muscolare ne aveva di meno, mi guardava rabbiosa, vedevo nei suoi occhi la furia di una belva affamata.

Quasi risi e ricambiai il suo sguardo con la stessa rabbia, ma calma e controllata, la furia cieca non aiutava in quei casi, bisognava elaborare una strategia per vincere e rimanere controllati.

Avrei sconfitto quella donna come nulla, ne ero sicura.

Proprio in quel momento ci alzammo entrambe per fronteggiarci "diamo inizio al primo round!" gridò il presentatore.

Rimasi ferma mentre quella mi girava attorno studiandomi, avanzai di un passo e in quel momento sentii la testa girarmi, credevo che fosse per il sonnifero di qualche ora prima così scossi la testa e tornai a concentrarmi sul combattimento.

Riuscii a parare alcuni dei suoi colpi, dovevo fare in modo che la rabbia prendesse il sopravvento sulla mia avversaria, continuare a schivarla con un'espressione quasi annoiata aveva quello scopo.

Dopo pochi minuti, però iniziò a girarmi furiosamente la testa e le mie gambe non mi reggevano più.

Cercai in tutti i modi di non mostrarlo ma da lì l'incontro iniziò ad andare male.

Non riuscivo più a schivare nessun assalto e nemmeno ad attaccare, vedevo doppio ed ero stordita.

La mia avversaria mi colpì molte volte facendomi finire a terra ma io mi rialzavo, ero abituata a subire colpi e sopportavo bene il dolore.

Vedendo che non mi arrendevo giocò sporco, mi gettò a terra, mi saltò addosso e mi colpì ovunque furiosamente senza sosta.

Sentivo il sangue che mi colava ovunque e la mia vista vacillò un'ultima volta prima di spegnersi del tutto.

Quando ripresi finalmente i sensi ero di nuovo nella mia cella, davanti a me cera il capo di quella banda assieme a tre uomini.

Cercai di alzarmi ma non ci riuscii, caddi di nuovo.

Il capo aveva una faccia furiosa "ci hai fatto perdere migliaia di dollari! Hai perso senza nemmeno provarci! Ti avevo avvertito delle conseguenze di una sconfitta!" mi gridò contro.

Non ebbi tempo di ribattere perché uno dei tre uomini mi tirò su fino a raggiungere il capo "ti daremo una lezione che non potrai dimenticare" uno degli uomini che lo accompagnavano mi tirò uno schiaffo, poi un pugno nello stomaco, feci di tutto per trattenere le grida di dolore ma ero ancora dolorante per il combattimento, gemetti senza gridare e mi accasciai tra le braccia dell'uomo che mi tratteneva.

Poi l'uomo che mi tratteneva mi girò scoprendomi la schiena, stordita dal dolore non riuscii a ribellarmi e sentii un fruscio nell'aria per poi gridare perché avevo ricevuto un fortissimo colpo sulla schiena, capii che stava usando la parte metallica di una cintura di cuoio.

Venni colpita innumerevoli volte e ad un certo punto mi lasciarono cadere a terra per continuare a colpirmi.

Durante tutto il processo non gridai, gemetti e basta.

Ero ancora un soldato della mafia italiana, non ero una mocciosa piagnucolona, non lo sarei mai stata.

Quando ebbero finito venni tirata di nuovo in piedi e il capo mi prese il viso con una mano "spero che non si debba ripetere questa scena, vedi di ricordarti di questa lezione e fai in modo di risparmiarci una scena così spiacevole" detto questo mi lasciarono cadere di nuovo e mi lasciarono sola.

Riuscii con fatica a strisciare fino al materasso e a gettarmici giù di pancia, la schiena faceva male ma almeno quel dolore fece dissipare la confusione che mi annebbiava la mente.

Come avevo fatto a perdere? I colpi che mi ero presa erano perfettamente schivabili da me e non combattevo così male nemmeno a quattordici anni.

Probabilmente gli effetti del sonnifero erano ancora attivi, da quando ero arrivata era successo di tutto, era scontato che non fossi in forma per combattere.

Mi ripromisi di fare del mio meglio al combattimento successivo.

Dopo un po' arrivò il medico che mi aveva visitata e mi medico le ferite del combattimento, le frustate invece no, disse che aveva ricevuto ordine di non fare nulla, erano il simbolo della mia punizione e avrei dovuto sopportarlo.

I giorni passarono, ma purtroppo il copione non si modificò affatto.

Appena prima di combattere iniziava la strana confusione, perdevo perché svenivo, mi risvegliavo nella cella, venivo punita, le ferite del combattimento venivano medicate e infine mi addormentavo.

Non riuscivo a capire come fosse possibile, ero sempre stanca e dolorante per i colpi ma sul ring tutto peggiorava, riuscivo a stento a reggermi in piedi.

Purtroppo, ferita e confusa com'ero per me era impossibile scappare.

Mi ritrovai a sperare e pregare che a casa si accorgessero che non andava tutto bene, per nulla.

Almeno nel sonno ero così stanca e dolorante che non sognavo.

Più passavano i giorni più il mio corpo si indeboliva, le ferite non avevano il tempo di guarire, il cibo e l'acqua che mi venivano dati erano sempre lo stretto indispensabile, mi era permesso lavarmi con acqua gelata subito prima di salire sul ring ma velocemente e senza accuratezza.

Non ero mai stata trattata in modo così bastardo, sia all'orfanotrofio che alla scuola della mafia avevo un bagnetto a disposizione, potevo lavarmi, anzi, dovevo essere sempre pulita e ordinata.

Dopo poco più di una settimana ero l'ombra di me stessa, persino camminare era doloroso.

Tuttavia, non mi arresi, continuai a cercare un modo per scappare, dovevo riuscirci prima che le iniezioni usate per modificare il mio aspetto cessassero l'effetto, se fossi tornata al mio aspetto orginale mi avrebbero riconosciuta e le cose si sarebbero messe molto male per me.

Avevo promesso a mio zio che sarei tornata a casa, a qualunque costo e non avevo mai infranto la parola data, ero una donna d'onore, la mia parola valeva più dell'oro.

SPERDUTA NELLA NEVEDove le storie prendono vita. Scoprilo ora