Quando aprii di nuovo gli occhi mi sentivo molto confusa, mi alzai a sedere ma una voce tremendamente familiare mi disse "piano ragazzina, ti sei appena svegliata da un'overdose, devi fare piano" scossi la testa "zia Lidia, l'hai fatto apposta a pronunciare le stesse identiche parole di quando ci siamo conosciute o no?" le chiesi con la voce roca.
Sorrise leggermente "sono contenta che te le ricordi ancora, come ti senti?" mi chiese, mi tenni la testa "come se un camion mi avesse travolta e poi mi avesse calpestata anche una marea di carri armati" confessai.
Mi sorrise dolcemente come sempre "si capisco, sei stata una settimana tra la vita e la morte, è normale, il medico ha detto che ti riprenderai presto" quella donna mi sorprendeva sempre.
Rappresentava la pura essenza della maternità, dolce, affettuosa e premurosa, ma allo stesso tempo non si tirava indietro nel tener testa al marito o a chiunque altro cercasse di ostacolarla.
Forse grazie ai medicinali sentivo la testa leggera e vuota.
Proprio in quel momento entrò zio Tommaso, aveva la stessa espressione che aveva avuto la prima volta che mi aveva vista.
Se gli sguardi avessero potuto uccidere sarei stata già morta e polverizzata "bene ti sei svegliata, ora riposa ma ti assicuro che appena starai meglio faremo i conti con quello che hai fatto" sentenziò funereo, non vacillai davanti al suo tono e non risposi, così se ne andò semplicemente.
Zia Lidia mise una mano sulla mia "Tisha ora riposati, mio marito a ragione, di quello che è successo dovremo parlarne ancora" sentenziò prima di lasciarmi sola.
Appena fui da sola però i ricordi tornarono e più violenti che mai, vedevo il mio corpo coperto di ferite e sangue, rividi l'operazione a cui ero stata sottoposta, rividi il mio utero coperto del mio sangue davanti ai miei occhi, sudavo freddo e tremavo mentre guardavo nei cassetti, ovviamente non c'erano ne le dosi e nemmeno le canne, non c'era neanche una piccola lama e non potevo sollevarmi.
Sul comodino però cera un orecchino, probabilmente l'aveva dimenticato la zia, presi il gancetto di ferro e provai a spingerlo nella mia pelle, ma non funzionava, non era abbastanza affilato.
Mi tastai tutto il corpo e infine trovai una lametta che portavo sempre con me, la tenevo nascosta nei capelli, per fortuna non avevano sciolto il muccetto disordinato che avevo in testa, la presi e me la passai sul seno e sulla pancia.
Il bruciore mi fece stare subito meglio, smisi di sudare e di tremare.
Per non far capire nulla a nessuno presi dei fazzoletti e li usai per tamponare il sangue, poi li infilai nel cestino di fianco al mio letto.
Con i tagli che bruciavano riuscii a cadere in un sonno molto profondo, anche se non era privo di sogni.
Stavo tornando dall'ufficio del professore di lingue. Ero un po' stanca perché aveva voluto ottenere tre orgasmi di fila e non era proprio il tipo più semplice da accontentare. All'improvviso nel corridoio mi bloccarono la strada dieci figure. Artyom era il ragazzo più popolare della scuola, era all'ultimo anno, per mia fortuna l'avevo dovuto sopportare solo per due anni. Una personalità maschilista, antiquata e sadica tutto in una sola persona. Una delle cose che adorava di più era costringere con la forza le ragazze a adeguarsi ai suoi desideri, non intendo che le violentava, ma con ricatti e manipolazione le convinceva a fare quello che voleva lui. Ero una delle sue prede preferite perché come diceva lui sempre "sono quello che è riuscito a domare una belva affamata" riferendosi alle mie ottime doti combattive. La sua banda era a capo della scuola e non ero la sola a subire le sue angherie, tutti gli studenti più piccoli dovevano dimostrare di sapersi difendere oppure sottomettersi. Ovviamente i professori non facevano mai nulla per fermarlo perché in quella scuola vigeva la legge del più forte tra gli studenti. Nel suo gruppo erano tutti provvisti di medie del cinque dalla prima, così tutti e undici avevano accesso illimitato a me e lo sfruttavano fino in fondo. Il gruppo mi circondò e Artyom mi si avvicinò prendendomi per il collo "abbiamo bisogno dei tuoi servigi puttanella" mi ringhiò in faccia. Avevo un fortissimo istinto di staccargli le palle, a lui e a tutti i suoi amici, ma mi costrinsi a rimanere buona. Sorrisi debolmente "cosa posso fare per voi?" chiesi umile, dovevo continuare a fingermi sottomessa, altrimenti il mio intero futuro sarebbe andato a puttane. Mi squadrò dall'alto in basso "spogliati" mi ordinò, eseguii l'ordine senza battere ciglio, non gli avrei dato la soddisfazione di vedermi impaurita. Appena fui completamente nuda mi spinse in ginocchio e mi mise un collare al collo con un guinzaglio. Tutti i ragazzi del gruppo si slacciarono i pantaloni e li abbassarono facendo uscire i loro membri "ora devi fare la brava puttana e farci venire tutti in fretta, ti verremo addosso chiaro?" annuii ma mi tirò un ceffone "sono stato chiaro?" ripeté. Ingoiai il mio orgoglio e abbassai lo sguardo "si signore" gli risposi. Appena uno mi veniva addosso veniva sostituito da un altro, quando finalmente terminarono ero a corto di fiato e completamente coperta di sperma. A quel punto il ragazzo mi fece alzare in piedi "ora andiamo in mensa, vedi di fare la brava" mi avvertì. Se avessi potuto gli avrei già fatto ingoiare la sua arroganza. Mi portarono in mensa con loro così com'ero nuda e sporca di sperma. Tutti gli altri si misero a ridere nel vedere le mie condizioni ma li ignorai, ormai c'ero più che abituata. Artyom mi diede l'ordine successivo "ora vai sotto al tavolo, mentre mangiamo devi farci altri pompini e dovrai ingoiare fino all'ultima goccia di sperma chiaro?" mi chiese, dovetti soffocare un altro impeto di rabbia "si, chiaro" strisciai sotto il tavolo e passai tutto il pranzo ad ingoiare il loro sperma mentre quello che avevo addosso si solidificava e mi tiravano calci sotto il tavolo. A volte uno di loro mi porgeva sotto il tavolo un boccone di cibo che dovevo prendere senza usare le mani e in risposta mi veniva accarezzata la testa. Finito il pranzo mi portarono in una delle stanze del sotterraneo, era adibita a Dudgeon, con tutti gli oggetti BDSM esistenti. Venni legata al soffitto e tutti loro si misero nudi attorno a me. le mie gambe vennero allargate da una sbarra di ferro. Si mise accanto a me al centro del cerchio "vedi di gridare e piangere, altrimenti non è divertente" piegai la testa sconfitta. Mi lasciò qualche colpo sul seno e sul sedere con la mano poi la mise sopra la mia entrata "ragazzi che ne dite di fare un esperimento? Vediamo se è così brava da prendere la mia mano!" tremai, non mi era mai stato infilato dentro qualcosa di così grande, non potei trattenere un grido quando mi infilò tutta la mano dentro, i suoi amici risero e uno incitò il suo capo "prova a scoparla e vedi quanto entra dentro di lei!" sorridendo compiaciuto lui iniziò a masturbarmi, gridavo per il dolore perché ad ogni colpo arrivava più in profondità finché non infilò dentro di me anche mezzo avambraccio. Guardò il suo migliore amico Daniil, "vieni qui con me, prendi uno degli strumenti e colpiscila con tutte le tue forze sulla figa" ordinò, tutto contento lui si fece avanti, prese una bacchetta di legno e iniziò a colpirmi proprio lì. Nel frattempo, quello stronzo ci Artyom passò dietro di me e mi infilò la mano ancora pulita nel culo. Gridai ancora più forte e iniziò a incularmi con quella mentre leccava con piacere la mano che aveva usato prima. Alla vista del mio dolore causato dai due ragazzi gli altri ridevano e si eccitavano sempre di più. Quando furono soddisfatti mi lasciarono, ansimavo per il dolore. Fece cenno a tutti gli altri di avvicinarsi "ora ognuno di voi scelga uno strumento per colpirla, voglio che lo facciate con tutte le vostre forze" sorridendo si accomodò sul divano per godersi lo spettacolo. Il bastardo sapeva benissimo di non potermi causare cicatrici o altre cose permanenti, ma si divertiva sempre a sfiorare la linea di confine. Per mezzora o forse più venni percossa con tutti gli oggetti possibili e immaginabili da quei dieci ragazzi. Quelle erano le occasioni in cui ci andavano giù pesanti, per vendicarsi di qualche umiliazione che avevo rifilato loro in classe. Quando ebbero finito uno di loro mi slegò e il capo tornò da me. Ero sfinita a causa delle percosse e comunque non potevo ribellarmi. Prese una corda fatta di filo metallico e mi legò con quella facendo attenzione a beccare quasi tutti i lividi. Poi fece passare la corda sull'anello attaccato al soffitto e mi tirò su, ero sdraiata a pancia in giù in aria, poco sotto c'era un lettino molto rudimentale. Attaccò dei pesi super compressi alle mie caviglie al mio collo per far si che la corda mi facesse ancora più male. Poi mi esaminò da vicino "oh no piccolina così non va, non possiamo fotterti per bene se non sei rasata" prese delle candele di cera, sapevo per certo che erano candele normali, non quelle fatte apposta per giocare. Mi separò le natiche e fece cadere molta cera bollente su di loro. Aspettò qualche secondo che la cera si asciugasse per bene e la strappò con un violento strattone, lanciai un debole gridolino ma non piansi, non contento manovrò la corda facendomi girare a pancia in su e versò la cera bollente anche sul davanti. Come aveva fatto prima aspettò che si asciugasse e poi la tirò via con uno strattone. Una piccola lacrima mi sfuggì da un occhio. Avevo le zone completamente irritate e doloranti. Prese un bastone di legno e mi assestò un poderoso colpo in mezzo alle gambe. Mi mise nuovamente a pancia in giù e iniziarono a scoparmi in gruppo, faceva un male cane e gemevo, ma non gridai e non piansi. Solo dopo molte ore mi lasciarono andare sfinita e dolorante nella mia stanza.
Mi svegliai di soprassalto tutta sudata da quell'incubo.
Quasi non ci credevo di essermi ricordata di certe cose, credevo di essermele dimenticate e lasciate alle spalle ma era evidente che mi sbagliavo.
Il dolore che sentivo era solo emotivo, ne ero più che consapevole, ma era insopportabile, volevo avere una dose di droga, o anche solo una canna per placarlo.
Allo stesso tempo mi rendevo conto di quanto facessi pena, ero arrivata a prostituirmi per averne un po', credevo di essere forte, ma erano solo un mucchio di stronzate, in realtà ero debole, molto più debole di tutti i miei cugini messi assieme.
Non riuscii più a dormire o a rimanere ferma, mi alzai e iniziai a camminare per la stanza fino a quando la porta si aprì facendo entrare le figure dei miei zii.
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SPERDUTA NELLA NEVE
ActionBuio. Vedo davanti a me solo oscurità macchiata da chiazze rosso cremisi e contornata da una sensazione di dolore e umiliazione. Tisha ha tre anni quando viene mandata in un orfanotrofio dai suoi genitori, fino a quel momento ha conosciuto solo dolo...