TISHA

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Erano giorni che non potevo rilassarmi, chiusa in quella camera, uno dei miei zii mi portava i pasti tre volte al giorno ma non riuscivo a mangiare, di solito era presente la carne e appena la mandavo giù rigurgitavo tutto il pasto.

Camminavo nervosamente, le finestre erano chiuse e anche la porta, non sarei riuscita ad uscire per nessuna ragione.

L'ansia, i ricordi, la sofferenza e l'impotenza mi distruggevano ogni giorno di più.

Provavo ad usare la lametta ma dopo tre o quattro giorni non riuscivo più nemmeno a tenerla in mano.

Avevo rotto tutti gli specchi presenti perché non sopportavo di guardare il mio riflesso.

Le tende erano tutte chiuse, non volevo vedere la luce del sole che mi trafiggeva, la primavera era troppo gioiosa per i miei gusti.

Spesso avevo illusioni che mi facevano battere i pugni contro la porta chiedendo aiuto e supplicando che mi aprissero ma nessuno mi rispondeva, mi stavano ignorando.

In preda alla disperazione iniziai ad usare i frammenti dello specchio per tagliarmi ovunque, non mi importava che se ne accorgessero.

Un giorno mentre ero sul lavandino e mi passavo le mani tra i capelli sentii di nuovo la vomitevole sensazione delle mani che li stringevano per costringermi a fare quello che volevano.

Presa dalla furia presi un pezzo dello specchio e mi tagliai furiosamente i capelli che erano stati per tutta la vita una parte importante di me, me li ridussi a poco più che una zazzera cortissima.

Mi picchiavo di continuo e sbattevo ovunque per farmi male, il dolore teneva a bada tutto il resto.

Arrivai a tagliarmi la parte bassa dell'addome scrivendomi sopra le parole "donna a metà" martoriavo il mio seno prendendolo a pugni perché tanto sarebbe stato inutile.

Nessuno mi rispettava perché ero solo una puttana, non ero una ragazza ricca di virtù.

Se non fossi stata capace di combattere nessuno mi avrebbe degnata di uno sguardo.

Se non avessi infuso paura in chi mi sfidava e mi rendeva la vita difficile non sarei stata altro che un'emarginata.

Quella società funzionava così ma allora perché zia Lidia era una donna così umana e dolce ma veniva rispettata comunque? Perché le mie cugine che erano in grado solo di difendersi fino all'arrivo dell'aiuto di qualcuno che fosse addestrato nel combattimento venivano rispettate da tutti e nessuno le usava come era capitato sempre a me?

Conoscevo la risposta, il loro cognome e la loro famiglia le tenevano al sicuro e il loro comportamento perfettamente composto e innocente le faceva rispettare, avevano tutte le virtù necessarie ad una donna.

Io non ce le avevo, ora non potevo nemmeno più combattere o torturare senza venire distrutta dal mio trauma.

Non avevo più un posto nel mondo.

Ero completamente nuda mentre mi guardavo il corpo, sentii di nuovo il mix disgustoso di quella cella che mi copriva il corpo, corsi in bagno bisognosa di lavarmi, mi succedeva di continuo.

Come sempre nei giorni precedenti entrai nella doccia, misi l'acqua più calda possibile, presi la spugna e il sapone.

Iniziai a passarmeli sul corpo strofinando con forza "d-devo l-levare t-tutto" balbettavo, era dal primo stupro a tre anni che non facevo così.

Lacrime iniziarono a rigarmi le guance, mi strofinai finché non ebbi la pelle rovinata, rossa e coperta di graffi e sangue, avevo riaperto i tagli e i lividi erano peggiorati.

Finalmente sentii di essermi liberata di tutto lo sporco che avevo addosso così uscii dal bagno.

Non mi accorsi subito che dentro ci fosse zio Pietro che era venuto per portarmi la cena come al solito.

Appena mi vide il suo sguardo andò nel panico e mi corse incontro prendendomi tra le braccia e lasciando la porta spalancata.

In quel momento la mia testa aveva un unico pensiero, dovevo procurarmi un po' di droga, non c'era altro modo per uscire da tutta quella sofferenza, da quelle voci sprezzanti che mi insultavano nella mia testa.

Divorata da quel bisogno mi dimenai e spinsi via mio zio senza fargli troppo male, corsi fuori e per il corridoio, nuda e ferita.

Mi sbagliavo, quella non era la mia vecchia stanza e quella non era l'ala dedicata a noi ragazzi, era un'ala completamente diversa.

Mentre correvo volevo raggiungere la casetta sperando che non avessero trovato tutta la marjuana che avevo nascosto.

Ma dopo pochi minuti le braccia di zio Tommaso si strinsero attorno a me "che cazzo stai facendo Tisha? Non puoi uscire!" gridò, ma io mi divincolai "lasciami! Tu non puoi capire quanto io ne abbia bisogno!" gridai a mia volta, vidi Nicolò correre verso di me con una siringa e iniettarmi qualcosa nel braccio.

Quasi immediatamente i miei occhi si chiusero e persi i sensi.

SPERDUTA NELLA NEVEDove le storie prendono vita. Scoprilo ora