Per un giorno e mezzo rimasi lì appesa, niente cibo, niente acqua, i topi iniziarono a raggiungermi per mangiarmi, dovevano essere affamatissimi.
Non lottavo, non piangevo, ricevevo solo scosse pressoché continue e vomitavo saliva e sangue subito dopo.
Mi ero rassegnata alla morte, anzi, la desideravo.
Il dolore ovunque era insopportabile, la stanchezza per la mancanza di sonno mi stava distruggendo.
In quel momento, per la prima volta da quando avevo tre anni pregai fermamente Dio, chiesi perdono per le vite che avevo sottratto, per il mio esser stata una puttana, per il fatto di essere marcia dentro da quando ero nata.
Capii che tutto quel dolore era la punizione divina per tutto il male che avevo causato e la morte lenta e inesorabile che ne sarebbe conseguita sarebbe stata una benedizione per me.
Pregai Dio per la protezione della mia famiglia, dei miei amici e anche perché fossero felici.
Sentivo che stavo per morire di disidratazione.
Dopo un po' sentii qualche rumore ovattato e mi apparve una visione davanti agli occhi: mio padre e Marco che correvano verso di me.
Mi liberavano da tutto e mi coprivano con una giacca.
Cercai di parlare ma riuscii solo a muovere le labbra pronunciando la parola papà prima che tutto diventasse nero.
Ringraziai Dio per avermi concesso di rivedere quei due volti prima di morire.
La voce che c'era nella cella continuava anche in quel buio a ripetermi gli insulti.
Le parole del capo di quella banda orribile continuavano a risuonarmi in testa:
"povera mocciosa ingenua, credi davvero che lo faranno? Sei qui da più di un mese, eppure nessuno è ancora arrivato, forse ti hanno mandata in missione per sbarazzarsi di te perché dovrebbero venire a salvarti? Sei una puttana, questo è risaputo, sei stata violata, scopata, posseduta da moltissime persone e, per quanto tu continui a dire che non avevi altra scelta non è così. Hai acconsentito a cedere il tuo corpo al direttore per poter studiare in scuole prestigiose. Hai acconsentito a diventare la puttana della scuola in Russia per avere un futuro. Le puttane sono quelle che vendono il proprio corpo per ottenere qualcosa in cambio per la malavita le puttane non hanno valore, sono solo oggetti da fottere, su cui sfogarsi. Questo tu sei ora e sarai sempre, un oggetto, che ti usino per scopare o per uccidere conta poco è dolce vedere quanto tu sia ancora ingenua. Anche se non esiste un altro oggetto con la stessa funzione si può sempre ricostruire da capo, scommetto che proprio in questo momento stanno addestrando un'altra mocciosa a prendere il tuo posto e che, quando ti uccideremo ci ringrazieranno per averti tolta dai piedi"
Alla fine, aveva ragione, perché sarebbero dovuti venire a salvarmi?
Se anche i miei genitori biologici si erano liberati di me, se ogni volta la gente mi trattava di merda, probabilmente era colpa mia.
Probabilmente avevo davvero qualcosa di sbagliato, di rotto, dentro.
Ho lottato per anni nel tentativo di costruirmi una vita dignitosa, una vita in cui fare qualcosa che mi piacesse, in cui sentirmi accettata per quello che ero.
Solo in quel momento capii che avrei fatto meglio a farla finita molto tempo prima.
Al tempo delle prime violenze del direttore.
Invece ero sempre andata avanti, convinta che un giorno il destino mi avrebbe potuto dare se non una vita felice almeno una vita sopportabile.
Quanto mi ero sbagliata, quanto ero stata ingenua a credere di potermi riscattare in qualche modo le mie origini.
Se io avessi detto la parola basta molte vite non sarebbero state rovinate, anzi, se io non fossi mai nata nessuna vita sarebbe stata rovinata.
Mia madre sarebbe rimasta a casa con la sua famiglia e mio padre anche.
Si sarebbero potuti sposare normalmente, avrebbero avuto dei bambini dopo qualche anno, quando sarebbero stati pronti.
Sarebbero cresciuti in un ambiente amato e felice come Kevin e i suoi fratelli.
Invece mia madre era rimasta incinta di me a quindici anni e da lì erano iniziate tutte le sue disgrazie.
Ero io la causa delle loro sofferenze.
Non so quanto tempo passò quando iniziai a sentire una serie di aghi che mi venivano infilati nelle braccia.
Delle mani che lavoravano sul mio corpo, sentii i vetri e le lame di rasoio che venivano estratte ma non sentii alcun dolore, evidentemente mi avevano iniettato un antidolorifico.
Ma quindi significava che qualcuno mi stava curando.
Chi era? Era il capo? Perché aveva cambiato idea riguardo alla mia morte?
Oppure la mia famiglia era finalmente venuta a salvarmi?
No, non volevo sperare, perché ogni volta che credevo di avere una possibilità di libertà questa prima o poi veniva distrutta.
Dopo settimane finalmente non sentivo più alcun dolore, ma sentivo ancora il fuoco bruciarmi, dovevo avere la febbre alta.
Sentii delle mani decise rimettermi a posto braccia e gambe e immobilizzarle.
Si alternavano momenti in cui ero abbastanza cosciente da percepire il lavoro della persona che mi curava e momenti in cui non capivo più nulla.
Per la maggior parte erano ricordi che mi invadevano la mente, ricordi perduti da tempo. In quei quattro anni la maggior parte dei ricordi riguardanti la scuola di mafia erano stati spinti da parte, come se non volessi ricordare quel dolore.
Adesso invece, in confronto al dolore che avevo provato ora non era poi così tanto.
Eravamo nella mensa della scuola avrò avuto undici o dodici anni. Non avevo il diritto di sedermi alle tavolate, dovevo rimanere inginocchiata accanto al direttore e mangiare con le mani da un piatto di plastica. Quando uno di loro mi chiamava non potevo camminare, dovevo mettermi a quattro zampe. Stavo mangiando un pezzo di bistecca quando il direttore mi chiamò "Tisha" strisciai con grazia accanto a lui "si padrone?" sussurrai. Mi fece segno di mettermi sulle sue ginocchia e io obbedii sedendomi sopra a cavalcioni rivolta verso di lui. Mi levò la giacca, la camicetta e il reggiseno, avevo già una seconda quindi era già piacevole per loro toccarmi lì. Con il suo cucchiaio prese un po' della salsa che era nel suo piatto e me la mise sul seno. Abbassò la bocca leccandomi il seno, succhiandomi i capezzoli e mordicchiandoli. Mi lasciai sfuggire un gemito di dolore quando li morse più forte. Le mie mani volarono istantaneamente al suo viso cercando di allontanarlo da me. Mi afferrò le mani e mi guardò male "non devi opporti, ora dovrò punirti" sussurrò glaciale. Mi prese per i capelli e mi portò davanti a tutta la mensa. Mi guardò freddo e mi ordinò "spogliati! eseguii l'ordine tremando come una foglia. Appena fui completamente nuda chiamò tutti i professori e si misero attorno a me. Mi guardava come se non fossi altro che merda "inginocchiati!" eseguii di nuovo, in quel momento tremavo di paura per la punizione che avrei subito. Tutti i professori liberarono i loro membri che ballonzolarono davanti a me "se non riesci a farci venire tutti entro dieci minuti verrai punita ancora di più chiaro?" annuii, ma sapevo che era una missione impossibile. Dieci minuti dopo avevo lo sperma di cinque uomini su di me, non ce l'avevo fatta. Il direttore allora si avvicinò a me e gridò la mia punizione ad alta voce "Per una settimana ti è permesso di vestirti solo per le lezioni, per il resto del tempo starai nuda, qui a mensa non riceverai il cibo nel piatto, ti verranno legate le mani dietro al schiena e dovrai raccogliere il cibo che i tuoi compagni ti lanceranno" decretò.
Ricordai l'umiliazione di quel giorno e la difficoltà che avevo fatto a sopportare i miei compagni che mi insultavano mentre mi lanciavano pezzi di cibo. Ero confusa.
Sentivo che ero in punto di morte ma non morivo, eppure lo desideravo così tanto.
Decisi di non lottare per vivere, non ne valeva la pena. Non volevo più riaprire gli occhi. Iniziai a lasciarmi andare e feci fare al destino in suo dovere.
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SPERDUTA NELLA NEVE
ActionBuio. Vedo davanti a me solo oscurità macchiata da chiazze rosso cremisi e contornata da una sensazione di dolore e umiliazione. Tisha ha tre anni quando viene mandata in un orfanotrofio dai suoi genitori, fino a quel momento ha conosciuto solo dolo...