TISHA

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Ora mio cugino aveva davvero superato il limite!

Darmi della puttana solo perché mi ero divertita una notte quando lui si faceva almeno cinque ragazze diverse ogni singola sera!

Tirare in ballo il mio passato poi! Non avevo mai avuto una scelta vera e propria e lui lo sapeva bene!

Erano quattro anni che sopportavo il suo essere iperprotettivo ma adesso non lo avrei più sopportato.

Sbattei la porta della palestra e iniziai a prendere a pugni un sacco da boxe "quel sacco ha la faccia del mio figlio minore o sbaglio?" chiese zia Lidia entrando e vedendomi.

Non mi preoccupai al dirle la verità "esattamente, se non ci foste stati tutti ci sarebbe lui al posto di questo!" vedevo che la zia era triste "non ascoltare quello che dice, è ubriaco e ha parlato a sproposito, non lo pensava davvero" sorrisi ironica "no, lo pensa davvero, l'ha dimostrato in molte occasioni" zia Lidia mi si girò e mi costrinse a guardarla "anche se fosse vero nessuno di noi altri la pensa così, sappiamo che sei stata costretta, che non avevi alternative" vedevo la paura nei suoi occhi.

Aveva paura che avrei perso fiducia in me stessa "lo so zia, non preoccuparti, non basta così poco per farmi vacillare" la rassicurai, lei mi sorrise dolcemente "dai, ora è meglio se torno a letto, vacci anche tu per favore, domani devi partire" le sorrisi mentre se ne andava e mi lasciava sola.

Aveva ragione, dovevo andare in camera mia a riposarmi.

Appena fui in camera però non riuscii più a contenere la rabbia e presi a pugni il sacco da boxe che era presente in camera mia.

Le sue parole continuavano a rimbombarmi nella testa

in fondo sei abituata ad aprire le gambe a cani e porci per ottenere quello che vuoi no? In quanti ti hanno scopata questa notte? Avevano meno di quarantanni? Ti sei scopata anche i miei amici per caso? Forse abbiamo sbagliato a trattarti da vittima e sei solo una puttana come tante altre!

Come cazzo si era permesso? Che ne sapeva lui di quello che era successo? Come poteva sapere cosa si provasse ad essere costretti a scegliere tra la propria dignità e un futuro degno di questo nome? Continuai a prendere a pugni il sacco fino all'alba senza mai fermarmi.

Quando la mia sveglia suonò alle sette ero bella scarica, corsi in bagno a farmi un bagno caldo per rilassarmi i muscoli e fare le modifiche al mio aspetto, infine feci una doccia fredda.

Due ore dopo era arrivata l'ora di partire, presi la mia valigia e mi diressi all'atrio.

Tutta la famiglia e i miei amici erano li per salutarmi, per l'occasione ci avevano raggiunti anche Erika con il marito e i suoi gemellini di un anno e Giada, anche lei accompagnata dal marito e che sfoggiava un bel pancione.

Le ragazze e le zie mi abbracciarono forte "ci mancherai tanto Tisha" mi dissero, le strinsi a mia volta "non preoccupatevi, non starò via a lungo, tornerò prima di quanto possiate immaginare" cercai di rassicurarle.

Poi fu il turno dei miei cugini maschi che mi tirarono grandi pacche sulle spalle "te la caverai alla grande piccola guerriera" sorrisero riferendosi al soprannome che mi avevano dato quattro anni prima.

Dopo di loro si fecero avanti i miei tre amici, Giacomo e Andrea mi sorrisero abbracciandomi brevemente, Marco al contrario mi strinse forte "fai attenzione, se avrai bisogno chiama e noi arriveremo il prima possibile" mi sussurrò all'orecchio, gli sorrisi "tranquillo, andrà tutto bene, non avrete tempo di sentire la mia mancanza" Nicolò intervenne nella discussione "non credo che nessuno di noi sentirà la mancanza delle tue sveglie all'alba e delle tue prese in giro cuginetta, stai pure serena" scoppiammo tutti a ridere per le sue buffonate.

Infine, andai davanti ai miei zii che mi misero le mani sulle spalle "questa è una missione importante, dalla sua riuscita dipende molto per noi" disse zio Pietro, zio Tommaso mi sorrise "fai del tuo meglio e torna a casa il prima possibile" annuii "non vi preoccupate, avete lasciato la missione in buone mani" affermai seriamente.

Per ultimo si avvicinò Kevin ma proprio in quel momento il suono di un claxon riempì l'aria "dai Tisha muoviti, devi andare, altrimenti perdi l'aereo" mi comunicò zia Lidia, così mi voltai e corsi alla macchina senza rivolgere la parola a Kevin, poteva cuocere nel suo brodo fino al compimento della missione, avremmo risolto tutto dopo.

Era strano viaggiare su un normale aereo di linea, avevamo già fatto le vacanze all'estero, ma ci eravamo andati sempre con il jet privato, comunque il viaggio fu tutt'altro che noioso, mi persi nei miei pensieri e guardai gli altri passeggeri, ascoltai le loro conversazioni e osservai i loro sguardi indovinando le loro storie di vita.

Nella fila accanto c'era un uomo di mezza età con accanto una donna poco più grande di me, quando eravamo saliti in areo l'avevo sentito rassicurare la moglie al telefono sul suo viaggio di lavoro, in quel momento stava accarezzando la coscia della ragazza quindi indubbiamente quello non era un viaggio di lavoro.

Più avanti c'era una ragazza che respirava affannosamente e capii che era il suo primo volo e che ne aveva molta paura.

Quel gioco era interessante ma in qualche modo li in mezzo mi sentivo come un pesce fuor d'acqua, fuori posto, eppure fino a otto anni prima anche io ero come loro, ignara della mafia, avevo sofferto ma non sapevo cosa volesse dire combattere davvero senza alcuna speranza di vincere, non sapevo cosa volesse dire avere la vita di qualcun altro nelle proprie mani, ero del tutto inconsapevole di quell'adrenalina che mi pervadeva sempre nel profondo ogni volta che torturavo qualcuno.

Sorrisi al pensiero di com'ero da bambina, così convinta di volere una vita normale e di riuscire ad uscire dal fango e dalla merda solo con le mie forze.

Anche dopo tutto quello che avevo dovuto subire ero così ingenua, solo con l'ingresso nella scuola avevo capito davvero ed ero entrata definitivamente nel mio mondo, l'unico in cui mi sentivo a casa, accettata e amata per quello che ero, mai giudicata: la mafia.

Al di fuori di quel mondo non sarei mai riuscita a vivere, sarei morta di noia, sarei stata un'emarginata da tutti, adocchiata come un mostro, trattata come un rifiuto della società.

Persa nei miei pensieri passarono le ore, l'areo era partito alle undici del mattino, l'arrivo era previsto poco prima delle nove di sera, avevamo già provveduto a prenotarmi una camera in uno squallido hotel nel Queens, dovevo sembrare una povera disperata per cercare lavoro in un night club della mafia.

Mentre mi facevo portare dal tassista all'hotel mi fermai in un fast food a prendermi la cena, non ero una fan di quel cibo ma non avevo voglia di andare a mangiare da qualche parte per quella sera.

Non ci misi molto ad addormentarmi, sfinita dalla lunga giornata e dal jet lag.

La mattina dopo mi svegliai all'alba, di norma avrei fatto la prima parte del mio allenamento quotidiano, ma li non potevo, dovevo nascondere il più possibile la mia abilità nel combattimento.

Mi vestii con degli abiti semplici e modesti per non dire sciatti e uscii dalla mia camera diretta al locale, avevo un falso curriculum in borsa e camminavo diretta e decisa.

Dopo dieci minuti di strada mi fermai per controllare la mappa in un vicolo, all'improvviso sentii un forte dolore al braccio e sentii il mio sangue scorrere, poi calò il buio.

SPERDUTA NELLA NEVEDove le storie prendono vita. Scoprilo ora