TISHA

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Mi risvegliai dopo un tempo indeterminato e scoprii che ero legata al soffitto per le braccia, cercai di dimenarmi e di capire dove fossi finita ma non ci riuscii.

Ero in uno stanzino grigio e muffito, c'era un materasso rovinato in un angolo e nient'altro, non c'erano finestre quindi non potevo nemmeno sapere quanto tempo fosse passato.

Tuttavia, non andai nel panico, avevo ancora il miniregistratore dentro la mia pelle, dovevo solo riuscire ad accenderlo.

Mi torsi finché non premetti con il braccio il punto dietro il mio orecchio dove si trovava ma sentii dei pezzettini di metallo rotto, quando ero svenuta probabilmente ci ero caduta sopra rompendolo, i pezzi facevano male nella pelle.

Poco dopo entrò un uomo, per mia fortuna sapevo perfettamente l'inglese quindi riuscii a capire tutto quello che diceva.

Russo e italiano li sentivo a casa a tre anni e anche all'orfanotrofio avevo trovato la maniera di continuare a parlare la lingua di mia madre, l'inglese invece l'avevo imparato a scuola come tutti.

L'uomo mi guardò e mi esaminò il corpo per bene, ero troppo abituata a questo per scandalizzarmi "sembri abbastanza muscolosa ragazzina" disse, lo guardai negli occhi con sfida "e allora? Chi siete? Cosa volete da me? perché mi avete rapita?" tentai di ottenere delle informazioni.

L'uomo mi tirò uno schiaffo in pieno volto "siamo noi a comandare mocciosa ricordatelo, puoi considerarci i tuoi padroni, da adesso in poi lavorerai per noi e se disubbidirai verrai punita" mi informò.

Normalmente gli avrei tirato un calcio in faccia, ma non potevo rischiare di far saltare la mia copertura per orgoglio "e cosa dovrei fare?" chiesi con la voce tremante fingendomi spaventata.

L'uomo sogghignò "noi siamo una banda che organizza combattimenti clandestini, tu parteciperai e se perderai gli scontri la punizione sarà molto severa" feci un impercettibile sospiro di sollievo, ero un'ottima combattente e sarei riuscita a cavarmela finché non fossi riuscita a trovare una via d'uscita da quel posto.

L'uomo mi prese il volto nella mano "hai capito? Farai quello che ti diciamo?" mi chiese, io annuii "s-si certo, farò quello che vorrete" usai sempre un tono timido e tremante, come se avessi paura, ma in realtà non ne avevo per nulla.

Ora che il microfono era stato rotto non potevo più sperare che la mia famiglia sentisse tutto quello che mi succedeva.

Per qualche settimana non mi avrebbero cercata, il piano prevedeva che io accendessi l'apparecchio una volta che fossi riuscita a procurarmi un lavoro nel club.

Speravo comunque di riuscire a scappare il prima possibile e di poterlo riparare per poter proseguire la missione.

Tanto con i combattimenti me la sarei cavata alla grande quindi non ero preoccupata di farmi male.

L'uomo davanti a me mi tirò fuori dalle mie riflessioni slegandomi, caddi a terra con un tonfo, a quel punto mi lanciò addosso una strana divisa "più tardi verrà il nostro medico a farti una visitina veloce, indossa il costume" detto questo mi lasciò sola.

Appena la porta si chiuse iniziai ad esaminare con cura tutta la stanzetta ma non c'era modo di fuggire, anche la porta era blindata e impossibile da sfondare, potevo solo fare finta di fare la brava e approfittare della prima occasione per fuggire.

Indossai velocemente la divisa che consisteva in un paio di culotte verdi con un reggiseno sportivo verde, scarpe da ginnastica rosa e una mascherina rosa che copriva gli occhi.

A quel punto mi misi a riposare sul materasso.

SPERDUTA NELLA NEVEDove le storie prendono vita. Scoprilo ora