Must always happen to me whole?
(capter forty-six)
‘Ehi, qui, sbirri, sono qui, ho un’emergenza!’ urlai appena entrai in caserma.
‘Si calmi signore che è successo?’ mi chiese un poliziotto il quale mi aveva notato.
‘Una mia amica, hanno rapito una mia amica, ho ricevuto una chiamata, forza cosa state aspettando! Prendete quelle cazzo di macchine e uscite a cercarla!’ urlai tirando un pugno al muro.
‘Si deve calmare okay? Non possiamo fare niente se non sono passare almeno 24 ore.’
‘Ma lei sa chi sono? Lei sa che sta parlando con Justin Bieber? Lei sa che se non incomincia a cercare la mia amica, tra 24 ore sarà troppo tardi? Lei sarà m- - morta.’ Ero arrabbiato, ormai ero al limite.
‘Va bene, si calmi, mi scusi! Mi segua, ha il telefono con sé? Dobbiamo rintracciare la telefonata’ disse il tizio, indicandomi una stanzetta a due passi da noi. Io lo seguii senza problemi.
Quando entrammo, diedi il telefono al tizio, e rifiutai di sedermi, perché ero troppo incazzato e preoccupato, Dio solo sapeva quello che stava succedendo a Charlotte e speravo su tutto quello che mi passava in testa che il suo viso d’angelo fosse senza lividi.
‘Allora l’avete rintracciato?’ chiesi ormai impaziente, dopo dieci minuti.
‘Si deve calmare, ci siamo quasi!’ mi risposero.
Arrivarono Simon, Usher e i ragazzi, uno più preoccupato dell’altro, entrarono nella stanza sbattendo la porta e cominciarono ad urlare e a fare domande.
‘Signori, se non vi calmate vi devo fare uscire dalla stanza!’ urlò il poliziotto facendo zittire tutti.
‘Magazzino fuori città, bianco grande, niente intorno, forse un vecchio cantiere!’
‘Cosa cazzo stai facendo puttana!’
Dopo aver sentito quelle parole, Niall cominciò a piangere, Zayn tirò un pugno al muro, mancando di poco Harry, il quale uscì dalla stanza, furioso.
‘Ce l’abbiamo! Chiama tutte le pattuglie libere, andiamo! Forza’ urlò il poliziotto uscendo dalla stanza correndo. Tutti lo seguimmo, almeno io fui il primo a seguirlo, gli altri appena recuperato Harry, salirono i macchina.
Le pattuglie davanti, io dietro con Alfred, e dietro di noi i ragazzi e Simon con Usher.
CHARLOTTE’S POV
Mi svegliai lamentandomi. Non ricordavo di essermi addormentata, e aprendo gli occhi, li sbattei più volta prima di riuscire a mettere a fuoco l’immagine che avevo davanti.
Quando fui sveglia del tutto, realizzai il posto in cui ero. Il magazzino.
Quando cercai di alzarmi e di sfregarmi gli occhi, gemetti dal dolore. Le mie mani erano legate alla sedia, e i miei piedi pure. Fu in quel momento che spalancai gli occhi mentre il mio cuore iniziava a battere ad un ritmo che neanche si può spiegare.
Cosa diavolo ci facevo lì?
Ingoiando tutta la saliva che avevo in bocca, cercai di ricordare quello che era successo, Scott, Scott era tornato e io ero nella merda..cazzo.
Era tutta colpa mia, io e quando faccio le cose senza pensare, mi ero messa da sola in questo cazzo di pericolo, ero stata io salire in macchina come se niente fosse.
Cercai di slegarmi, ma l’unica cosa che feci fu graffiarmi con la corda che era legata stretta intorno ai miei polsi. Il mio strillo di dolore rimbombò nella stanza.
Pareti nere, nessuna finestra, anzi si solo una, ma troppo in alto e troppo piccola. Faceva entrare i raggi della luna, quindi era notte. Da quanto tempo ero lì?
Sicuramente ci doveva essere un modo per uscire da quella cazzo di stanza, perché sicuramente dovevo uscire di lì il prima possibile.
Non c’era niente nella stanza che io potessi usare per togliermi quella cazzo di corda che l’unica cosa che sapeva fare era spaccarmi la pelle dei polsi.
Sentivo dei passi, provenivano da dietro la porta che si trovava davanti a me, e prima che io potessi far finta di niente e tornare a dormire, la porta si spalancò.
‘Bene, bene, bene, ora chi è che è nei casini?’ disse Scott ridendo.
‘Come sei uscito?’ chiesi subito arrabbiata.
‘Tesoro, credevi veramente che riuscivi a buttarmi via così?’ rise di nuovo.
Io non risposi, non sapevo cosa dire. Avevo paura, avevo davvero paura. Lui si avvicinò.
‘Brava, giusta risposta il silenzio. Perché ora sei proprio nella merda!’ rise.
‘Sai..’ si chinò davanti alla mia faccia ‘sei così bella, non voglio rovinarti il viso, ma..’ sentii la lama del coltello, premere sulla mia guancia ‘devo farlo, peccato’ concluse, prima di far sprofondare la lama affilata dentro la mia pelle, per poi trascinarla giù, più lentamente possibile. Urlai dal dolore.
‘E non urlare stronza!’ disse tirandomi un pugno sull’altra guancia, facendomi cadere a terra.
Non volevo piangere, non potevo piangere, non potevo mostrarmi debole, perché se ti mostri debole, è come se dessi il via alla massacro.
Lui mi prese per la spalla e mi tirò su, e rimise la sedia a posto.
‘Sei sleale, perché non mi sleghi e facciamo una cosa giusta?’ dissi ridendo.
Dio avevo la guancia in fiamme, e il sangue ormai mi colava su tutto il corpo.
Lui ci pensò su un attimo e poi mi slegò, prendendomi per la maglietta mi fece alzare.
Io mi toccai i polsi con le mani, per vedere se avevo ancora la sensibilità, poi misi la mano sulla guancia e appena sfiorai il taglio, gemetti dal dolore.
‘Forza, quando sei pronta bellezza’ disse lui ridendo.
Mi misi in posizione, come da me promesso.
Feci la prima mossa, ma non finì come volevo io, lui mi buttò a terra con una semplice spinta. Mi rialzai.
Corsi di nuovo contro di lui e stavolta il mio pugno andò a toccare la sua guancia e lui, saltellando all’indietro, si massaggiò la mascella, per poi ritornare in posizione.
Non aspettò due secondi per venirmi addosso, buttandomi per terra. Era sopra di me e iniziò a sferrarmi pugni nello stomaco, a raffica. Dopo di che si rialzò e mi fece segno con l’indice di alzarmi.
Non ce la facevo, ormai ero distrutta, non potevo batterlo, non da sola, non in quelle condizioni.
Quando ce la feci ad alzarmi del tutto, da fuori si sentì qualche rumore.
Le sirene della polizia.
‘Ci hanno messo molto..ora però bellezza devo farti fuori, non ci torno in galera io!’ disse tirando fuori una pistola.
Dio se mi stai ascoltando, aiutami ti prego.
Di mio istinto, mi guardai intorno, la porta era aperta, quindi avevo ancora una via d’uscita.
Presi un gran respiro e diedi una spinta a Scott, riuscendo a farlo cadere, e inizia a correre, correre più veloce che potevo, correre per la mia salvezza, nessuno mi avrebbe fermato, nessuno.
Uscii dalla stanza, andando a sinistra per poi svoltare a destra, non sapevo dove andare e l’unica cosa che speravo era di non trovarmi davanti un muro, un muro che avrebbe ostacolato la mia fuga.
‘Torna qui puttana, dove credi di scappare’ Scott si era rialzato, e ora ce l’avevo dietro.
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Non ti sto dicendo che sarà facile, ti sto dicendo che ne varrà la pena- Trilogy
FanfictionStoria di Carlotta Corvi Trilogia: "Non ti sto dicendo che sarà facile, ti sto dicendo che ne varrà la pena" "Sono un vampiro e questa è la mia storia" "Tilbury's Fate"