quindicesima parte

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Non possiamo scappare. Non possiamo continuare ad andare avanti così. Sì siede sul divano. Prende il telefono nelle mani è glielo levo.
«che vuoi? Ora non posso fare...» la bacio. Questo momento da tre settimane lo sognato di notte. Mi vedevo noi stretti di nuovo nella nostra casetta. Non volevo sentire altro. Le parole sono diventate troppe. Vorrei annullare tante cose. Tipo quel messaggio che ho mandato. Farle dimenticare ciò che le ho scritto. Ci stacchiamo per riprendere fiato. Noto una lacrima sul suo volto. Mi siedo accanto a lei. Fianco a fianco.
«non voglio farti del male »
«perché mi hai baciato adesso?»
«perché è ciò che voglio. Voglio te.»
«se solo riuscissi a fare pace con il cervello »
«da quando sono arrivato non ho visto un sorriso nel tuo volto. Quando vedo che non sorridi capisco di aver fallito. Fallito con te. Fallito nella nostra storia. » abbasso lo sguardo. Sento i suoi polpastrelli sul mio mento. Permette ai nostri occhi di guardarci di nuovo come prima. Ora sento il suo amore. Vedo che non mi guarda più con freddezza. Non dice niente. Mi bacia una guancia.
«sapessi quante volte mi sia sentita io una fallita. Non sono mai capace di dare amore a nessuno. Ho sempre sperato di riuscire a darti un pizzico di quanto mi davi tu. Ho provato a non farti mai sentire la differenza di età. Ho provato a non parlare quasi mai per lasciarti leggere dai miei occhi. Ma forse a volte dovevo dirti di amarti. Dovevo dirti che mi avevi cambiato la vita. Dovevo dirti di sentirmi speciale. Dovevo dirti che per me esisti solo tu. Qualche volta avrei dovuto farti sentire più importante di quanto lo eri già. » respira profondamente. Accarezza con il pollice la mia guancia. Poi riprende a parlare. «quando sei andato via, questa casa ha preso un aria diversa. Tutto intorno mi sembrava brutto. Tutto mi ricordava te. Tutto era diventato pesante. Pure andare in giardino a stendere. Sono pesante da vivere e so che gestirmi non è facile; ho creduto di aver trovato qualcuno che avesse capito il mio essere, che avesse capito come ero fatta. Di avermi accettato per quello che ero. »
«Elo aspetta...» mi ferma.
«no Lele. Lasciami finire - annuisco - quel messaggio invece mi ha fatto capire che mi avevi capito più di quanto potessi immaginare. Avevi capito che tutto ciò che io non avevo mai capito di me. Sono veramente tremenda quando mi ci metto, esagero, dico cose senza pensare, alzo i toni, ferisco  la persona che ho davanti a me allo stesso tempo ho pensato anche ma se è rimasto con me un anno e mezzo qualcosa di buono l'ho fatta con lui? Mi sono risposta che non avevo fatto abbastanza che se i litigi ti avevano stremato. » ogni tanto fa una pausa. «oggi sei tornato o meglio ti sei preoccupato di vedere come stavo, ma sono sicura che domani siamo di nuovo lontani. Io a Roma in questa casa con tutti i nostri ricordi e tu a Napoli con la possibilità di svagarti con la tua famiglia e i tuoi amici. Così vicini ma così lontani» conclude. La sua mano trema. Lei trema. La paura di perdermi si fa viva. L'autoconvinzione di avere perso nulla.

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