SETTE

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Era notte fonda.
Al buio, in un ufficio del quinto distretto illuminato solo dalla luce blu di un monitor, un uomo stava parlando al cellulare, guardando distrattamente le luci dei fari delle auto che scorrevano sotto di lui fuori dalla finestra.
- Va bene capo. Faremo tutto il possibile per accelerare i tempi. Il mio uomo sa come muoversi, ma quei due detective e lo scrittore si stanno mettendo in mezzo. Povero illuso, ha messo degli uomini di guardia davanti alla camera della detective, come se questo potesse bastare per fermarci.
- Ti ricordo che lei dirà come sono andate le cose, riuscirà a gestire la cosa, il tuo uomo?
- Lui ha i suoi mezzi, li userà.
- Fate attenzione. Lo scrittore è più pericoloso dei detective, perché si muoverà su campi diversi e non è uno stupido.


Castle aveva perso una discreta somma di denaro la sera precedente. Si era guadagnato gli sberleffi dei suoi compagni di poker su come la sua fortuna sfacciata per una volta lo avesse abbandonato, ma non aveva avuto nemmeno troppa voglia di riderci su.
Aveva aspettato la mattina successiva girandosi e rigirandosi nel letto, dormendo poco e male, fino a quando non si era alzato per andare a studiare di nuovo gli appunti sulla lavagna. Dove era quel particolare che sfuggiva a tutti loro?

Attraversò i corridoi dell'ospedale che ormai aveva imparato a memoria, salutò i due uomini di guardia fuori dalla porta e, senza bussare, entrò in camera di Kate. Rimase imbambolato quando vide che seduto sulla sedia vicino al suo letto c'era Josh.
Nel suo posto.
La sua mente tornò ad un anno prima. Perché lui era lì? Perché era vicino a lei e le teneva la mano? Si stava illudendo ancora?
Stava per andarsene, quando sentì il rumore della sedia e la voce di Josh.

- Devo tornare a lavoro. Ci vediamo, Kate. - Le diede un bacio sulla fronte ed uscì passandogli accanto senza dire nulla.

Kate sembrava avere uno sguardo colpevole mentre allungava una mano come a chiedergli di raggiungerla. Ricacciò indietro l'amaro che aveva in bocca, assieme ad un pezzetto della sua dignità, avvicinandosi a lei.

- Castle... - Solo quando lei pronunciò con voce rauca il suo nome realizzò che non era più intubata.

La sua bocca era libera e poteva vedere le labbra screpolate e secche sulle quali, nonostante tutto, si sarebbe perso molto volentieri. Scacciò quei pensieri dalla mente.
Stava meglio, quindi. Era quello l'importante.

- Ciao, Beckett. - Le rispose in tono asciutto.

Non riuscì nemmeno a prenderle la mano. Sembrava che ora che potevano parlarsi, quell'intimità raggiunta nel silenzio comunicando solo con il tatto fosse svanita.
Kate sospirò guardandolo, voleva fortemente parlargli, dirgli tante cose.
Aveva pensato ad un lungo discorso da fargli ma non riusciva ancora a parlare bene e ogni volta che si sforzava di farlo sentiva come una manciata di aghi trafiggerle la gola.
Non voleva creare fraintendimenti non riuscendo poi a spiegarsi per poter chiarire.

- Grazie - Gli disse alla fine, sforzandosi.

- E di cosa? - Rick provò a sorridere, ma gli venne fuori solo uno di quei sorrisi forzati che odiava anche lui.

- Sei qui. - Sussurrò con un filo di voce.

- Sì, Beckett. Sono qui. - Non poté resistere, però, dal toglierle quella ciocca di capelli davanti agli occhi e lei gli fermò la mano mentre stava per ritrarsi. Kate provò a schiarirsi nuovamente la voce ma riuscì solo a provocarsi altro dolore, in aggiunta a quello che sentiva già un po' ovunque e fece un sospiro carico di frustrazione.

- Non ti affaticare. Avremo tempo per parlare, ok? Non me ne vado. - Sollevò la sua mano per darle un bacio, rendendosi conto dopo che forse aveva osato troppo per il punto in cui erano. Ma in effetti qual era di preciso la loro situazione? Come si potevano considerare due persone che si erano dette "ti amo" in tempi diversi, urlando, piangendo, senza sapere se l'altro l'avrebbe mai saputo?

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