SETTANTASETTE

270 20 0
                                    

Erano passati giorni ma il caso di Nicole Church era sempre lì, sulla scrivania di Kate e su quella lavagna dove non si aggiungevano nuovi particolari. Nel frattempo avevano risolti altri due casi, avevano dato giustizia ad altre due famiglie e messo dietro le sbarre altri due assassini. Era tanto per Kate, ma non era abbastanza. Ogni delitto irrisolto per lei era una questione personale. Aveva avuto modo di parlare con i genitori di Nicole ed anche con sua sorella: detestava quella parte del suo lavoro che consisteva nel fare altre domande a chi vorrebbe solo chiudersi nel proprio dolore, sapeva che quello era solo un rinnovare la sofferenza e non permettere mai al cuore di smettere di sanguinare. Sapeva esattamente cosa stavano provando e per questo la sua frustrazione aumentava così come il disagio ogni volta che ci doveva parlare. Loro, però, si erano dimostrati comprensivi e collaborativi. Le avevano fatto vedere la vecchia stanza di Nicole nella loro casa, sperando che anche lì potesse trovare indizi utili, ma era stato come sempre, nulla di fatto. Gli aveva lasciato anche il suo numero "Se vi viene in mente qualsiasi cosa" gli aveva detto, ma in realtà il padre di Nicole l'aveva chiamata un paio di volte ma solo per chiedere a lei se avesse novità e la risposta era sempre la stessa: "No, mi dispiace". E non era una frase fatta, le dispiaceva veramente.
C'era, però, un momento in cui tutto passava, quando rientrava a casa, con Castle. Si erano promessi che varcata la soglia dell'appartamento di Kate non avrebbero più parlato dei casi, delle indagini e del distretto e, stranamente, ci stavano riuscendo. Ogni tanto capitava che venivano presi dai discorsi o dai ragionamenti che si scatenavano automaticamente ed un caso lo avevano risolto proprio così, cucinando insieme, osservando un coltello così simile a quello di uno degli omicidi avevano capito che uno dei sospettati gli stava mentendo. Ovviamente la cena dovette attendere e tornarono subito al distretto ma fu l'unica volta in quelle prime settimane di convivenza dove tutto era stato più facile e naturale di quanto entrambi avevano pensato. Fu solo un episodio, però. Il resto delle serate e delle notti erano solo per loro e fortunatamente capitò solo un paio di volte che Beckett fosse chiamata all'alba dal distretto. Riuscirono anche a passare un week end, due giorni interi, lontani dal distretto e dal resto del mondo. Due giorni interi trascorsi con pochi vestiti addosso, senza orari, senza vincoli e con i cellulari staccati. Tutto il resto dell'umanità poteva aspettare due giorni fuori dalla porta di casa e fare a meno di loro che avevano tanto, troppo tempo da recuperare. Lo usarono per vedere film dei quali guardavano solo l'inizio, per cucinare insieme e mangiare dallo stesso piatto, per mangiare il gelato sul divano con tanta panna spray spruzzata direttamente in bocca, come piaceva a Castle, per fare lunghi bagni insieme, per parlare di loro e scoprirsi nelle piccole cose. Così Kate aveva scoperto che anche a Rick piaceva l'acqua a temperatura molto calda e rimanere nella vasca fino a quando non si raffreddava e lui non avrebbe mai immaginato che anche a lei piacessero i videogiochi e le loro sfide si concludevano sempre con penitenze che soddisfacevano entrambi e non era mai necessario arrivare in camera da letto, quel divano di Beckett lo avevano scoperto molto comodo in varie posizioni, così come il pavimento invaso da cuscini e coperte era diventato il loro nido d'amore. Si erano amati, tanto, fisicamente e non solo e sapevano di averne bisogno entrambi.
C'erano stati progetti e promesse e Rick come sempre ingigantiva tutto. Avevano parlato ancora una volta di tutto quello che avrebbero voluto fare insieme, soffermandosi su tutte quelle cose più divertenti e spensierate, trovandosi impacciati a parlare di progetti più seri, non perché non avrebbero voluto, travolti da loro stessi potevano anche parlare di come si sarebbero visti tra cinquant'anni: era solo quella paura latente di dire ad alta voce desideri troppo grandi per paura che quel destino troppe volte avverso li sentisse e li beffasse.
Kate poi lo aveva sentito alzarsi in piena notte. Si era preoccupata, inizialmente, per quella sua assenza. Aveva cominciato ad odiare il suo letto senza di lui, era freddo e vuoto e pensava che non avrebbe più potuto dormire senza sentire il suo respiro profondo vicino. Aveva atteso in silenzio il suo ritorno che non avveniva. Aveva avuto paura: che fosse accaduto tra lui qualcosa che non aveva colto, che si stesse allontanando o molto più materialmente che non stesse bene. Così si era alzata ed aveva aperto piano la porta, preoccupata di cosa poteva trovare di là, si cosa dirgli se lo avesse visto pronto ad uscire. Invece vide la luce dello schermo del computer e lui intento a scrivere, facendo scivolare le dita leggere sui tasti: lui che era sempre frenetico nello scrivere, era delicato e gentile nel premere un tasto dopo l'altro. Lo osservava con quella coperta sulle spalle nel divano troppo piccolo per come lui era abituato e sentì un nodo in gola dall'emozione. Si era avvicinata lui, cercando di non fare rumore e lo abbracciò da dietro, cingendogli le spalle e facendolo sussultare quando lo baciò sulla guancia. Lo invitò a tornare a letto e a scrivere lì, vicino a lei. Aveva così imparato che Castle scriveva i suoi romanzi soprattutto di notte e che quel suo modo di digitare era solo per non disturbarla, ma Kate si abituò ben presto a quel rumore nel silenzio della notte, faceva parte di lui, come il suo respiro ed il battito del suo cuore. E la faceva dormire bene.

ObsessionDove le storie prendono vita. Scoprilo ora