NOVANTASETTE

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Si erano svegliati così come si erano addormentati, abbracciati e con molta probabilità avevano passato l'intera notte così, almeno Rick ne era certo, visto come si sentiva indolenzito, ma non avrebbe allontanato Kate per nessun motivo.

Le pareti sottili e male insonorizzate di quella bettola gli facevano sentire tutto il via vai che c'era al di fuori della loro porta, le risa sguaiate venire da una camera vicino e delle imprecazioni. Probabilmente i loro vicini avevano sentito tutti i loro discorsi della sera prima, se erano già in camera, ma non se ne preoccuparono, lì nessuno avrebbe mai chiamato la polizia perché sospettavano che tutti avessero più di qualcosa da nascondere, a cominciare dal proprietario di quel posto. Castle mantenne la promessa fatta la sera prima, andando a prendere la colazione nella tavola calda davanti la loro pensione. C'era molta più gente del giorno precedente, quasi tutti i tavoli erano occupati e molti uomini erano in fila per aspettare le loro consegne. Ecco una cosa strana di quel posto, aveva visto solo uomini se si escludeva la cassiera di quel posto e la donna che aveva preso il posto del ragazzo all'entrata del motel. Gli ritornò in mente lo stesso pensiero della sera prima, di Beckett sola ed indifesa in camera e fu costretto a scacciarlo subito, pensando che se avesse saputo di questa sua preoccupazione come minimo gli avrebbe sparato per fargli capire che lei era tutto tranne che indifesa. Ma non poteva farci nulla, la vedeva così.

Il profumo di pancakes appena fatti che veniva dalla sua busta attirò l'attenzione di quella donna piuttosto attempata e vestita in modo non adeguato alla sua età che lo seguì con lo sguardo fino a quando non girò l'angolo del corridoio. Incontrò un altro ospite che invece lo squadrò in malo modo ma cercò di non curarsene, tirando dritto fino alla sua stanza. Bussò tre volte fece una pausa e poi ancora due, come concordato con Kate. Lei riteneva che non ci fosse bisogno, bastava che parlasse perché lei lo sentisse, ma lui adorava queste cose, segnali in codice, riservatezza... gli faceva pensare di essere in chissà quale missione come uno dei personaggi dei suoi libri. Si era vantato con Kate di aver escogitato negli anni tantissimi segnali convenzionali e molti li aveva anche sperimentati con Alexis che quando era piccola si divertiva molto a seguirlo in queste sue strambe idee. Mentre mangiavano con gusto Castle le raccontava alcuni di questi suoi stratagemmi e Beckett ascoltava in silenzio ed annuiva sorridendo: le piaceva vederlo entusiasta anche in una situazione del genere e le era d'aiuto per rendere tutto più leggero, ma le dispiaceva dirgli che in realtà lei tutto questo già lo sapeva, visto che i suoi libri li aveva letti tutti, più volte. Non gli aveva mai detto che era una sua fan né quanto i suoi libri erano stati importanti per lei, Castle conosceva quasi ogni aspetto della sua vita, ma non sapeva perché, quello rimaneva sempre qualcosa della quale aveva pudore a parlargli, non solo perché temeva che il suo ego avrebbe raggiunto dimensioni incontenibili e l'avrebbe presa in giro per l'eternità sostenendo di averlo sempre saputo, ma perché considerava tutto quello qualcosa di estremamente personale e si spaventava quasi di fermarsi a pensare che quello scrittore che le era sembrato così stravagante e appariscente, irraggiungibile pensava quando era solo una ragazza, adesso era l'uomo senza il quale la sua vita avrebbe perso ogni significato, la persona che nonostante tutte le sue follie le dava più sicurezza avere accanto e l'amore della sua vita. Ne era passato di tempo da quando era poco più che ventenne in fila per farsi autografare una copia del primo romanzo della serie di Derrick Storm. Glielo avrebbe detto, prima o poi, si diceva che lo avrebbe fatto, magari più poi che prima.

Il telefono di Beckett squillò prima di quanto pensassero, mentre stavano chiacchierando e raccontandosi aneddoti del loro passato. Non avevano parlato di come affrontare tutta quella situazione ma sembrava che per entrambi, almeno per adesso, l'unico sentimento che prevaleva, o che almeno cercavano di far emergere, era quello di non angustiarsi troppo. La situazione era delicata, pericolosa e non sapevano per quanto tempo si sarebbe protratta, ma sembrava che ancora non se ne erano voluti rendere conto, come se avessero paura di fermarsi e pensare, perché avrebbero dovuto fare i conti con troppe cose.

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