QUARANTATRÈ

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Kate bussò alla porta della casa di suo padre, lo fece lievemente, quasi non volesse che lui la sentisse, sarebbe stato tutto forse più facile: aveva deciso di fare di testa sua, non le bastava salutare Jim con una telefonata, spiegare quanto era accaduto e quello che sarebbe stato dal giorno dopo in poi, lo voleva vedere, e questo lo doveva più a lui che a se stessa, sarebbe stato più facile al telefono e sarebbe stato meno doloroso, ma non sarebbe stato giusto.

Price la aspettava fuori, in macchina, di fatto l'aveva accompagnata per tutta la giornata dopo quanto accaduto, la sua presenza era ingombrante, in tutti i sensi, ma doveva obbligatoriamente abituarsi, visto quanto avevano deciso per lei.

Jim aprì la porta trovando sua figlia che si torturava le mani nella sua attesa. Senza dire nulla si spostò e la fece accomodare, intuendo che, se l'andava a trovare a quell'orario di tarda sera, c'era sicuramente qualcosa di serio ed importante.

- Domani parto. - Gli disse semplicemente, mentre tra le mani stringeva una tazza di caffè caldo che suo padre le aveva appena portato. - Dopo quello che è successo oggi, hanno deciso di mettermi in un programma di protezione più stretto. Non posso dire a nessuno dove vado, né per quanto tempo. Non ci sentiremo per un po', papà.

Kate strinse una mano di Jim che ascoltava in silenzio le parole della figlia.

- Castle lo sa? - Kate rimase spiazzata da quella domanda

- No, Castle è un capitolo chiuso papà, te l'ho detto. Non sa niente e non deve sapere niente.

- Te l'ho già detto Katie. Stai facendo un errore. Stai buttando via la tua vita, eri felice con lui ed ora i tuoi occhi sono di nuovo spenti. Anche se non mi guardi, lo so.

Le parole di Jim colpirono Kate così violentemente che se non fosse stata seduta avrebbe vacillato. L'uomo sentiva la mano della figlia tremare mentre teneva la sua e capì che aveva ragione. Poggiò la sua tazza sul tavolino davanti a loro e racchiuse la mano della sua bambina tra le sue.

- Perché ti stai facendo questo, Katie?

- Ti ho detto che me ne devo andare, che non so per quanto tempo non potremmo né vederci né sentirci, perché mi parli di Castle papà?

- Perché lui ti rendeva felice ed a me interessa solo questo. Ti avevo visto rinascere con lui, nonostante la situazione complicata. Perché non vuoi esserlo?

- Non posso obbligarlo a vivere la mia vita, ad esporsi a continui pericoli. Ha una figlia, una madre, non è giusto. - Ammise a suo padre stringendo i denti dalla rabbia e dal dolore per quell'argomento che le faceva sempre male.

- Lo deve decidere lui se lo vuole. Tu non gli hai dato la possibilità di farlo. Potresti stupirti di quello che possono fare per te le persone che ti amano... - Strinse ancora di più la sua mano. Quel discorso non valeva solo per Castle, ma anche per se stesso - ... Anche se non sempre sono state in grado di dimostrartelo.

Kate si commosse alle parole di suo padre. Non erano soliti dimostrarsi affetto, in quegli anni erano stati uniti dal dolore, riuscendosi a parlare poco, non confidandosi e non condividendo le proprie emozioni. Eppure entrano entrambi assolutamente certi dell'amore che provavano una per l'altro.

- Sei sicura che stai facendo la cosa giusta, ci hai pensato bene?

- Sì, papà. - Annuì asciugandosi le lacrime dopo aver finito il suo caffè - Io so esattamente cosa sarebbe in grado di fare Castle, proprio per questo deve starmi lontano.

Si alzò e lui la seguì.

- Ora devo proprio andare. Mi raccomando papà... Io starò bene, tu non ti preoccupare. Mi farò sentire appena posso. Abbracciò l'uomo che ora sembrava così fragile, ancora lui bisognoso di protezione da parte di sua figlia, che stringeva con forza, certo che stesse facendo uno degli errori più grandi della sua vita.

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