Epilogo

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Pov Jonathan


In un modo o l'altro, stretti in due macchine, arrivammo in ospedale, prima che le contrazioni diventassero frequenti.

Rimasi attaccato al braccio di William tutto il tempo, l'odore chimico del disinfettante e quello dei medicinali, mi faceva girare la testa, come se non bastasse ogni cinque minuti, qualcuno con gravi ferite, mi passava davanti.

"Amore, stai bene?" sentii la voce di William, leggermente lontana, nonostante fosse accanto a me. Il suo volto apparve sfuocato sempre di più e in pochi secondi, persi completamente i sensi.






**






Quando riaprii le palpebre, fuori era giorno, il cielo era cupo e un vento insolito soffiava attraverso il vetro.

Il mio corpo sembrava intorpidito, i muscoli non ne volevano sapere di muoversi e provavo fatica persino a tenere gli occhi aperti.

"Finalmente ti sei svegliato"

Mi voltai verso quella voce, riconoscendo mia madre seduta sulla poltrona accanto al letto.
Provai ad alzarmi un po' contro lo schienale, venendo prontamente aiutato da lei.

"Dov'è William?" mormorai a fatica, sentendo la bocca impastata, come se non bevessi da secoli e di fatti, mia madre mi portò un bicchiere alle labbra.

Bevvi un lungo sorso, guardandomi attorno, per poi riportare gli occhi nei suoi.
"Allora? Dove è William? Gli altri? Ines ha partorito? Che diavolo ho avuto, un calo di pressione?" domandai a raffica, ottenendo espressioni di preoccupazione e confusione.

"Di chi parli, tesoro? Hai sbattuto la testa molto forte.." mormorò, allungando una mano verso la mia fronte.

Mi accigliai, non ricordando di aver sbattuto, ciò nonostante mi concessi la mano fredda sulla fronte bollente, per qualche secondo.

"Mamma, William. Dove è?" chiesi di nuovo e stavolta, fui certo dell'espressione totalmente assente.

"Chi è William?"

Sbuffai spazientito e mi alzai dal letto, di fretta, ignorando le tempie che pulsavano di dolore.
"Il mio ragazzo mamma, William"

"Credevo che il tuo ragazzo si chiamasse Kevin" rispose, facendomi scattare nella sua direzione, con gli occhi spalancati.

"Ma di cosa diavolo stai parlando?!" sbottai, venendo poi catturato, come una calamita, dal paesaggio fuori, che avevo intravisto.

Puro panico mi assalì, quando i miei piedi avanzarono verso la finestra, mostrando una visuale a cui non ero più abituato, da anni.
Quasi automaticamente, lo sguardo si posò sul mio polso, dove vi era trascritto:

Jonathan Allen, 16 anni, London Hospital

"Jonathan?"

Mi voltai, riconoscendo un'altra voce famigliare e sospirai di sollievo nel vedere gli occhi verdi e caldi di Aiden.

"Dove sono? Che cosa è successo? Che cazzo significa questo bracciale?" scoppiai, raggiungendolo, notando solo in quel momento il camice bianco.

Perché era vestito in quel modo?!

"Jonathan perché non ti siedi, così parliamo di ciò che è successo?" mi propose e lentamente annuii, credendo di essere finito in qualche sogno strano.

Una volta sopra il bordo del letto, lasciai che mi visitasse con una mini torcia, alternando la luce da un occhio, all'altro.

Quello era decisamente un sogno.

"Hai dormito per tutto il pomeriggio, come ti senti?" mi chiese, appuntando qualcosa su un foglio e nel farlo, la fede dorata, catturò la mia attenzione.

"Non so cosa ci faccia qui, perché tu mi stia visitando e dove siano finiti tutti quanti ma sto sicuramente sognando. Io sono svenuto all'ospedale, eravamo lì, perché Ines doveva partorire. Ines, la sorella di Christian, tuo marito!" urlai, indicando l'anello che aveva al dito.

Che mi stessero facendo uno scherzo di cattivo gusto?

Un cipiglio segnò la sua fronte, scrutandomi con più attenzione.
"Non so come tu mi conosca già ma io non so chi sia questo Christian, né perché debba essere mio marito"

Scossi la testa, scoppiando a ridere per l'assurdità di quella situazione o sogno che fosse, puntai gli occhi alla targhetta appesa al camice, dove spiccava il suo nome o meglio..

A. Powell

"Questo è un incubo" mi lasciai sfuggire, infilando entrambe le mani nei capelli.
"Che cosa mi sarebbe successo, dimmelo tu Aiden perché io non so più che pensare, sei pure sposato con William, ironico, mi devi rubare tutti i ragazzi? Ho capito che sei migliore di me in tutto, ma Christian bastava e avanzava ora pure William o Gesù, mi lascerai almeno il mio gatto Leon?"

Straparlai per un lungo tempo, tanto quello era uno sogno, potevo pure disperarmi quanto mi pareva.

"Jonathan" mi fermò, afferrandomi per un polso e sgranai gli occhi, quando sentii il suo tocco dannatamente reale e ferreo.

"Non so cosa il tuo cervello abbia rielaborato quando hai perso i sensi ma ti posso assicurare che si tratta di una cosa seria, il trauma è stato forte e in questi casi, la mente immagina situazioni e persone irreali, che vengono dal tuo stesso subconscio"

Anche se non credevo ad una sillaba del suo discorso e del mondo intorno a me, non potei che sentire qualcosa spezzarsi, come uno specchio, a terra.

Specchio.

Era quella la mia ultima possibilità, non potevo avere sedici anni e uno specchio, l'avrebbe confermato.

Per questo, ignorai Aiden e mi alzai, raggiungendo il piccolo specchio appeso alla parete, che avevo notato poco prima.
Presi un respiro profondo e mi affacciai, raggelando quando i lineamenti di un adolescente, sostituirono ciò che ero abituato a vedere ogni giorno.

Quattro anni della mia vita.

"Non posso aver immaginato quattro anni della mia vita.. Non è possibile" sussurrai ad un passo dalla disperazione, ad un passo dal pianto, ad un passo, dalla fine di tutto.

"È scientificamente possibile" parlò la sua voce, distaccata e per nulla simile al dolce ragazzo, che avevo imparato a conoscere e approvare al fianco di Christian.

Christian.

Mi girai un'ultima volta, con la morte nel cuore, gli occhi ormai pieni di lacrime e una ferita nel petto, troppo profonda per essere irreale.

"E Christian?.."

"Temo non esista."




























NAH SCHERZAVO, CI VEDIAMO AL CAPITOLO 92 :)

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